nostro inviato a Yokohama
Nella sua vita e in quella del Milan cè sempre unaltra occasione, è buona la seconda più che la prima. Cominciò con la Juve a sfiorare lo scudetto poi preso al lazo col Milan, quindi passò alla Champions e adesso al mondiale: respinto dal Boca, col Boca si guadagna la promozione a pieni voti. Perciò Carlo Ancelotti si presenta nella bolgia di Yokohama senza una parola fuori posto, un sentimento fuori posto. «Abbiamo cancellato il 2003» sospira sereno. Il conto è sistemato, lanno delle rivincite cominciato ad Atene si conclude in Giappone. «È stato un anno indimenticabile ma non penso proprio irripetibile: qualcuno non ci sarà più ma il gruppo attuale è molto forte, motivato, solido, capace di altre imprese» è la convinzione di Ancelotti che si coniuga con unaltra certezza. «Il mio lavoro funziona perché mi trovo in sintonia con la società e con la squadra. E poi mi sento molto milanista» la frase che marca lorgoglio dellappartenenza a una razza speciale. Lui, Ancelotti, è uno dei pochissimi ad aver vinto in Giappone da calciatore e da allenatore, sempre col Milan, naturalmente: «È un risultato conquistato attraverso tanta fatica» suggerisce alla fine.
Adriano Galliani è pronto a scolpire il prossimo mercato, non sarà molto diverso da quello fin qui realizzato, pochi arrivi, mirati: «Le coppe non si vincono col mercato - teorizza prima di entrare nel dettaglio delle future mosse -. A gennaio entrerà solo Pato, a giugno prossimo uno, due acquisti al massimo»: il piano è già pronto, basta aggiungere i nomi di un terzino, Zambrotta, e di un attaccante, Drogba, e il giochino è fatto.
Lunga vita al Milan di oggi, che è sempre quello di ieri, nato dagli scambi famosi, Seedorf contro Coco, per esempio: «Il motore che spinge le squadre di calcio è azionato dalle motivazioni: grandi motivazioni uguale grandi risultati. E le motivazioni arrivano là dove cè passione. Perciò per noi del Milan il ciclo resterà ancora aperto, anche nei prossimi anni» la filosofia di Clarence Seedorf. Che come Nesta usa unespressione forte solo per larbitro («si è inventato quel finale con lespulsione di Kaladze») ma tiene a freno altri paragoni irriverenti: «Questo successo non mi ripaga del mondiale di Berlino, vissuto ai margini: quello resta unico» è la sua idea fissa. Quel che è perso, è perso.
La parola dordine, sul tema Inter, torneo dellamicizia, Mancini, è una sola. Godersi fino in fondo il mondiale senza lasciarselo rovinare dai veleni: «Auguro a tutti di provare le nostre stesse emozioni» comincia Ancelotti, pacato. «Non gli rispondo, ho giocato con lui» obietta Nesta. Anche Galliani si rifiuta di cadere nel trappolone: «A noi piace andare in giro per il mondo, gli altri se li sognano i nostri trofei». Così la chiusura se la guadagna a pieno titolo Paolo Maldini, preferito a Jankulovski per motivi di cuore: «Sapevo che poteva essere la sua ultima finale in Giappone» la spiegazione del tecnico che ha un doppio valore. Consentire al capitano di sollevare la coppa, come gli accadde a Manchester e ad Atene. «Dal calcio ho avuto tutto: a questo punto a fine anno smetto senza rimpianti» è lannuncio secco e solenne di Maldini che nel finale si trascina dietro i due figli, Daniel il più piccolo sulle spalle, e Christian per mano, durante il giro donore nello stadio tutto colorato di rossonero: «Il primo pensiero è stato per la mia famiglia: era la prima volta che mi seguiva in Giappone, sapevo che sarebbe stata anche lultima. Perciò ho voluto i miei figli con me, devono portarsi dentro il ricordo di una serata così». Che resterà scolpita nella memoria di molti altri.
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