Leggere, telefonare, mandare una cartolina, scattare una fotografia.
Ricorda un po’ l’elenco delle penitenze di quando si giocava da bambini: dire, fare, baciare, lettera, testamento.
Non molti anni, fa, diciamo una ventina, leggere un quotidiano se non si era comodamente sprofondati in poltrona, ma ci si trovava, per esempio, sotto a un ombrellone con un robusto vento di maestrale che spazzava la spiaggia, significava piegare il quotidiano in 8 e leggerlo ruotandolo come se fosse un cubo di Rubik a meno di non trovarselo sparpagliato per chilometri lungo tutto il litorale di levante, o di ponente.
Telefonare, quando non ci si trovava in casa, significava, riempirsi la tasca di gettoni telefonici, così come faceva Pollicino riempiendosela di sassolini bianchi, per poi trovare una cabina nella quale infilarsi e chiudersi come un pesce in un acquario molto stretto.
Mandare una cartolina, dopo averla scelta ruotando i cestelli a ripiani multipli posizionati davanti ai negozi di souvenir fino a cadere quasi in uno stato di autoipnosi significava sceglierla, cercare poi un francobollo sperando che debitamente umettato rimanesse appiccicato al retro della cartolina, trovare una penna che scrivesse, scrivere una frase tra le meno banali, mendicare tra che era con noi una firma sempre rilasciata malvolentieri, neppure si trattasse di un assegno, dimenticarsi regolarmente il numero civico e il cap del destinatario, alla fine imbucare sperando che la cartolina giungesse a destinazione.
E scattare una fotografia, sempre che avessimo con noi una macchina fotografica, significava caricarla col rullino, cercando di infilare quella strana linguetta che sporgeva da una parte nel rocchetto della macchina fotografica, chiudere, scattare e scattare, e ancora scattare, fino a rendersi conto, troppo tardi, che la linguetta non si era agganciata, e che non avevamo impressionato neanche un negativo. O se invece la linguetta si agganciava scattare le nostre brave 12, 24 o 36 fotografie e portarle poi a far sviluppare e stampare, col fatto che speso, se il rullino non era finito, passavano magari due estati prima che venisse sviluppato, senza poi riuscire a ricordare nulla, quasi neanche i volti delle persone che erano state fotografate, che forse anni dopo si sarebbero viste in un qualche nostro album di foto, fatto girare tra gli invitati nel dopocena.
Con il digitale tutto è cambiato, sta cambiando e cambierà.
Il quotidiano si sfoglia, virtualmente, sul tablet e non c’è vento di maestrale che tenga: giriamo la pagina quando vogliamo noi, e non quando lo decide il vento.
Dei gettoni telefonici non è neanche il caso di parlarne, sta di fatto che oggi volendo non solo chiamiamo ma videochiamiamo e senza rinchiuderci in una cabina telefonica neanche ci fossimo inflitti una penitenza.
Mandare una cartolina si può fare, così come si può ancora lasciare che il vento ci sfogli il nostro giornale o comunque chiamare da un telefono pubblico, ma grazie alle app di smartphone e tablet posiamo mandare un infinito numero di cartoline, senza che neppure un francobollo ci resti appiccicato alla lingua, semplicemente scattando un’immagine con il nostro smartphone e inviandola a una o contemporaneamente a più persone con un semplice sfiorando semplicemente il display del nostro smartphone.
E fotografare? Niente rulli e linguette, niente sviluppi: con una compatta digitale basta inquadrare e scattare con la certezza matematica che la foto sarà nella maggior parte dei casi tecnicamente perfetta e soprattutto, non solo sarà possibile rivederla subito ma anche condividerla in Rete usando la app opportuna.
La fotografia, quella chimica, è nata oltre centocinquanta anni fa, quella digitale solo vent’anni fa: è una tecnologia quindi relativamente giovane, e in pieno sviluppo, in piena rivoluzione.
I modelli di fotocamere digitali disponibili sono centinaia, poco meno di una decina i fabbricanti.
Tra questi indubbiamente la giapponese Fuji ha sempre avuto una parte preponderante nella ricerca, fin dai tempi dei rullini fotografici, periodo in cui produceva, oltre che pellicola, fotocamere, anche professionali, obiettivi e sistemi di stampa.
Due anni fa Fuji ha presentato la X-PRO1, un nuovo concetto di fotocamera digitale, con una livrea retrò molto accattivante, pesi e dimensioni contenute, ma soprattutto un sensore grande come quello delle reflex e la possibilità, di solito esclusiva delle reflex, di poter cambiare l’ottica.
In questi due anni Fuji ha allargata la famiglia X con nuovi modelli, fino all’ultimo presentato nelle scorse settimane, la Fuji X-M1. Ancora più compatta rispetto agli altri modelli X, di questi condivide il sensore professionale da reflex digitali e la possibilità di cambiare le lenti, ma in dimensioni così contenute da stare tranquillamente in una borsetta o, utilizzando una delle ottiche compatte disponibili, perfino in tasca.
Il monitor può essere ruotato per inquadrature fuori dagli schemi, da basso come dall’alto – vantaggio questo molto utile per fotografare tra la folla, come ai concerti, per sollevare il punto di vista al di sopra delle teste.
La Fuji X-M1 può essere impostata in modo completamente manuale, dall’esposizione fino alla messa a fuoco, per incontrare le necessità degli appassionati esigenti, così come in modo completamente automatico, lasciando che sia la macchina ha decidere – e in modo perfetto – le impostazioni di scatto, lasciando all’utente la possibilità di concentrarsi al meglio sull’inquadratura per catturare al momento giusto l’attimo fuggente, senza esitazioni.
Ma che differenza passa oggi tra fotografare con uno smartphone dell’ultima generazione e una macchina digitale? Il grande vantaggio dello smartphone sta nel fatto che la foto appena scattata può essere postata sulla Rete e che grazie a diverse app di scatto ritocco è anche possibile trasformare foto forse banali in veri capolavori, applicando filtri, piuttosto che le impostazioni delle vecchie macchine fotografiche a pellicola, piuttosto che delle Toy Camera.
La Fuji X-M1 ha colmato questa differenza aggiungendo quella principale: la differenza principale sta nel fatto che la qualità di uno scatto eseguito con una Fuji X-M1 – o con altre fotocamere di un certo livello – non è neppure paragonabile a quella di uno smartphone, neppure del migliore in commercio.
In merito poi ai filtri creativi la Fuji X-M1 ne incorpora parecchi e a questo si aggiunge il modulo WiFi integrato che permette alla X-M1 di connettersi a qualunque tipo di smartphone o tablet, sia Android che iOS per poter condividere immediatamente sulla Rete gli scatti appena effettuati.
E quando poi si vorrà stampare un’immagine scattata con la X-M1 non ci saranno limiti dal punto di vista della qualità: sono immagini che possono tranquillamente essere stampate anche in formato poster, merito del sensore di tipo professionale da un lato, dalla varietà e dalla qualità delle ottiche Fujinon utilizzabili dall’altro.
Perché con gli attimi fuggenti e i ricordi
non si scherza: ci si pongono di fronte nella loro immensità e fuggevolezza e vanno fissati nel miglior modo possibile. In modo da poterli rivivere nel futuro come se si fosse ancora nel presente.Con una fotocamera, quindi.
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