Sull'isola di Fidel dove non esistono i no vax

Stremata dalla crisi economica generata dal Covid che ha strozzato il flusso turistico verso l’isola e dall’embargo imposto dagli Stati Uniti, ha dovuto fare i conti con gravi difficoltà che non le hanno impedito di proteggere la popolazione dal virus e di creare i propri vaccini. Ecco la sua ricetta

Sull'isola di Fidel dove non esistono i no vax

Sull'isola di Fidel sono tutti sì vax ed è praticamente impossibile incontrare una persona adulta o un bambino con più di 2 anni che non si siano vaccinati.

L’ultimo aggiornamento del 27 gennaio 2022 di Our World in Data mostra Cuba sul podio mondiale con la percentuale record del 93% di vaccinati, al terzo posto, dietro agli Emirati Arabi e al Portogallo .

Qui non abbiamo l’obbligo di green pass da esibire per poter accedere a bar o ristoranti e teatri. Ognuno di noi ha il suo carnet, emesso dal Ministero della Salute Pubblica, dove vengono annotate le dosi effettuate, i numeri dei lotti del vaccino e le generalità di chi lo ha somministrato. E’ un documento che in caso di reazioni avverse dobbiamo presentare al CMF (Consultori del Medico di Famiglia) o in qualsiasi area di salute dell’isola, afferma al Gioranale.it A.G studente dell'ultimo anno dell'Università degli Studi di Scienze Mediche dell'Havana.

Che aggiunge: "Non saprei dire se c’è qualcuno che non si sia vaccinato per scelta. Nessuno qui è obbligato a farlo e io non ne conosco e, no, non c’è notizia di movimenti novax. Leggiamo ed ascoltiamo invece delle proteste scoppiate nel resto del mondo .I vaccini funzionano, nella fase 3 è stata valutata la loro efficacia su circa 44.000 volontari: anche chi nutriva qualche dubbio si è convinto. Ci si può vaccinare con facilità in tantissimi spazi della salute e se qualcuno non può raggiungerli, sono i dottori stessi a recarsi a domicilio anche nelle parti più remote dell’isola” .

Una professoressa alla facoltà di scienze mediche dell'Havana afferma:“Escludo che ci sia anche solo un lavoratore nel settore sanitario o scolastico che non si sia vaccinato: è una questione di responsabilità verso le persone più fragili che hanno uno stato di salute compromesso e verso i bambini che sono il nostro futuro. E risponde all’importante esigenza di proteggere se stessi. É una forma di solidarietà, siamo abituati ad aiutarci”. Per l'insegnante la fiducia nella scienza è un punto di riferimento indiscutibile.

“Certo che le domande ce le siamo fatte anche noi, come tutti, ma le risposte ce le hanno date i nostri scienziati e i ricercatori che hanno lavorato senza sosta per mettere a punto i vaccini nei poli scientifici dell’isola. Il dottor Duran Francisco, direttore nazionale di Epidemiologia del Ministero della Salute, ha una lunga esperienza nella gestione di battaglie contro epidemie come il dengue, combattute già con successo prima che arrivasse il coronavirus: è lui la voce e il volto del briefing quotidiano in Tv sulla situazione epidemiologica nel quale dispensa con umiltà e chiarezza consigli. Noi abbiamo imparato che la maggior parte dei decessi sono legati a condizioni di fragilità pregresse, che il vaccino ci protegge ma che non bisogna mai abbassare la guardia" spiega la professoressa.

Che conclude:"Se qualcuno della popolazione all’inizio ha nutrito preoccupazioni legittime, lo avrà fatto in relazione alle tempistiche di sviluppo che sono state ridotte, come per tutti i vaccini anticovid, per fare fronte all’emergenza ma nessuno qui avanza teorie complottiste. Sarà che c’è grande fiducia nel nostro sistema sanitario che è totalmente pubblico e gratuito. E ciò che ci tranquillizza è che Cuba ha una consolidata esperienza nella produzione di vaccini, anche pediatrici”. Conferma una professoressa alla facoltà di Scienze Mediche dell’Havana.

Vaccini come Cimavax, contro il cancro al polmone o il Va-Mengoc-Bc, messo a punto nel 1989 contro la meningite B che ha sradicato la malattia nell’isola ed è usato ora in tutto il mondo o ancora il Quimi-Hib, il primo vaccino semisintetico a basso costo per bambini.

Poi ci sono i poli della ricerca scientifica tra cui l’Istituto vaccinale Finlay e il Centro di Ingegneria Genetica e di Biotecnologia dell’Havana che sono i due enti che hanno messo a punto i vaccini (attualmente sono 5) anticovid Soberana (Sovrana in italiano, ad evocare l’autarchia cubana) e Abdàla (nome mutuato dall’omonima opera del politico e scrittore José Martì che incarna un giovane combattente che si immola per l’amor patrio).

Fu subito chiaro a Cuba, non appena l’OMS dichiarò il coronavirus pandemia, che insieme ad una serie di misure drastiche da prendere con urgenza (lockdown totale con coprifuoco, didattica a distanza, stop al turismo, fonte principale di ricchezza ma anche di contagio, uso di mascherina obbligatoria dai 6 anni in su) fosse necessario creare dei vaccini propri, dato che l’accesso a quelli del mondo occidentale, a causa delle sanzioni commerciali imposte e dei costi elevati, sarebbe stato impossibile.

Soberana 02, Abdàla e Soberana Plus (la versione che dovrebbe contrastare la variante Omicron) sono vaccini proteici. A differenza di Pfizer o Moderna che usano la tecnologia mRNA.

Cuba, per svilupparli, ha usato quella convenzionale, che si basa sulla piattaforma di vaccini già conosciuti.

Soberana inoltre è stato usato come vaccino pediatrico, creato sulla base di sieri utilizzati in precedenza per i bambini, incontrando la fiducia dei genitori.

Il vantaggio di poter essere trasportati a temperature tra i 2 e gli 8 gradi contro i meno 70 gradi di Pfizer e di essere prodotti a basso costo, li renderebbe adatti per essere distribuiti nei paesi poveri. La loro efficacia si attesterebbe oltre il 90% secondo la rivista scientifica Nature.

Ma la ricetta di Cuba non è frutto di un miracolo o della sorte. L’ingrediente principale è da ricercarsi nella solidità e decentralizzazione del sistema sanitario (uno dei cavalli di battaglia da sempre celebrati insieme al sistema educativo) che vanta il primato del più alto numero al mondo di medici di famiglia per abitante (9 su1000) e che punta sulla prevenzione fatta di quartiere in quartiere, dove è sempre presente un policlinico.

E sembra che a far la differenza sia stato proprio l’uso puntuale del metodo che la comunità scientifica definisce “tetris”: testare, tracciare ed isolare ed infine curare.

Senza perdere tempo, una task force di dottori, infermieri e studenti universitari delle facoltà di medicina al quinto anno di studi sono stati inviati casa per casa con lo scopo di informare sui sintomi del coronavirus, testare a tappeto la popolazione, individuare focolai di infezione, isolare i contagiati in strutture apposite per rompere la catena di trasmissione, curare i malati ed occuparsi dei contatti stretti seguendoli costantemente nella quarantena, somministrando anche l’interferone (proteine deputate al contrasto del virus) per rafforzare le difese immunitarie.

Se alla grande disponibilità numerica di personale sanitario e paramedico impiegato sommiamo la efficace campagna di sensibilizzazione contro il virus, un alto grado di scolarizzazione, il forte legame di fiducia tra dottori e popolazione, la scarsa propensione all’individualismo, il senso di solidarietà e un’industria farmaceutica pubblica che produce l’84 % dei propri vaccini, riusciamo a spiegarci il successo sia nel mantenere la pandemia sotto controllo sia nel completare la campagna vaccinale.

Cuba, che per i suoi vaccini non ha ancora ottenuto l’autorizzazione dell’OMS, ha dichiarato di non voler fare concorrenza alle case produttrici di altri vaccini, anche se ha già donato alla Siria 250mila dosi.

In attesa del semaforo verde che sembra aver tempi lunghi, l’isola continua a

combattere.

E mentre la lotta al Covid, i vaccini e la campagna vaccinale diventano anche una questione di orgoglio nazionale, Cuba “vive e respira” come si legge sulla copertina del profilo twitter del Dr. Francisco Duran.

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