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Vado in vigna e torno: la storia di Neoneli, città del vino e di un nuovo umanesimo

In piccolo borgo nel cuore della Sardegna, la tradizione antica di coltivare la vite e produrre il vino anche solo per l’autoconsumo stava rischiando di scomparire. Ecco perché

Vado in vigna e torno: la storia di Neoneli, città del vino e di un nuovo umanesimo

Il vino a Neoneli è un affare di famiglia e gli abitanti sono quasi tutti casa, lavoro, vigna e cantina. Su poco più di 600 residenti, 130 sono anche viticoltori.

I neonelesi che si sono tramandati il sapere appreso in vigna di padre in figlio, per tradizione dedicano il loro tempo libero alla vite e i temi del vino e del suo mondo sono anche gli argomenti principali dei quali si discute nell’unico bar senza insegna presente in paese o tra le mura domestiche e sui quali da sempre ci si confronta e a volte anche scontra.

Siamo nel cuore della Sardegna, nell’antico territorio del Barigadu, in provincia di Oristano. All’entrata del paese, un’insegna con il nome del borgo accoglie i visitatori e se state cercando vino di qualità, siete nel posto giusto: “Neoneli, Città del vino”.

Disteso sul costone di un’alta collina, poche casette in trachite rosa, nessun ristorante o albergo:qui si mangia benissimo in casa dove anche il pane è fatto a mano, poi il bar, come luogo d’incontro e tutt’intorno una splendida natura selvaggia, l’Oasi Naturalistica di Assai, la profumata macchia mediterranea, sugherete, boschi, fichi d’India e le belle ed ordinate piccole vigne.

I vigneti presenti in questa area sono frutto di una cultura millenaria che è rimasta invariata ed è fondata sul concetto di ereditarietà. Sono appezzamenti dalle dimensioni molto ridotte, uno attiguo all’altro, senza recinzioni, ai quali si accede da stradine sterrate che lasciano scorgere panorami mozzafiato. Riempiono gli occhi ed appagano la vista i fitti alberelli disposti in maniera ordinata sulle colline, dove non esiste urbanizzazione e tutto parla di un luogo incontaminato.

Poco più di un ettaro per viticoltore, in questo territorio che ha una vocazione vitivinicola antica come testimoniano alcuni palmenti, delle sorte di vasche di probabile origine romana, nelle quali in passato si pigiavano e lasciavano fermentare i mosti direttamente in vigna.

La coltivazione è per il solo consumo famigliare. Ci si fa il proprio vino, naturale (senza “medicina”,ci tengono taluni, i più estremisti per la verità, a precisare riferendosi ai solfiti), lo si imbottiglia e lo si beve e condivide con soddisfazione con i parenti e gli amici, sicuri che il proprio sia certamente il migliore di tutti.

Eppure, per i residenti, la vigna è come un’estensione dell’ambiente famigliare, quello dove ci si reca sin da piccoli con il nonno o il papà o lo zio, dai quali si è appreso tanto e dove si passa il tempo dopo il lavoro e durante il weekend. “Dove vuoi andare se non in vigna?”-si dice da queste parti -“qui a Neoneli non ci sono discoteche”.

Ma lavorare in vigna non è proprio come fare quattro salti in balera o coltivare il basilico sul terrazzo di casa, soprattutto in questo territorio dove la meccanizzazione non si è mai vista. Dimenticatevi trattori, macchinari e tutta la tecnologia. Qui c’è l’uomo con la sua fatica, lenita solo dalla passione.

Le zappature sono fatte tutte rigorosamente a mano in queste antiche vigne che raggiungono anche i 100 anni di età, la scalzatura (per rimuovere erba ed eventuali radici superficiali) si effettua con i buoi e il reinterro con i cavalli, visto che gli spazi tra gli alberelli sono strettissimi.

I pochi trattamenti biologici fatti in vigna sono comunque manuali: in una giornata tipo, che va dalle 6.30 del mattino alle 17.00 si riescono fare 6 ettari di vigna con quattro bio atomizzatori a spalla del peso di 35 kg e si percorrono circa 25 km, che non sono propriamente una passeggiata.

Ma chi, nonostante il grande entusiasmo, ha la prestanza fisica per poter continuare un lavoro durissimo che sembrerebbe adatto solo ai più giovani?

A Neoneli, con grande lungimiranza si iniziò in tempo a discutere di questo tema partendo da un’analisi del territorio e dei suoi abitanti.

Il progressivo invecchiamento della popolazione, la mancanza di un cambio generazionale aggravato dall’esodo dei ragazzi che lasciavano il borgo emigrando anche nel continente in cerca di lavoro portò alla considerazione che essendo molti i viticoltori ultra settantenni, nel giro di 20 anni questo prezioso patrimonio naturale sarebbe andato a morire.

Intorno al 2012 l’amministrazione comunale, decisa a tamponare quella che poteva trasformarsi in una emorragia, si attivò con l’istituzione di corsi specifici sulla viticoltura aperti alla popolazione, avvalendosi di esperti del settore. Furono inoltre indetti concorsi enologici a premi, con degustazioni alla cieca. I risultati furono eccellenti: la valutazione del pregio del vino da parte di qualificati studiosi fu ottima e si assisté ad un rinnovato interesse di tutta la popolazione ma anche delle generazioni più giovani e il borgo cominciò a fare notizia.

Nel 2016 la svolta, tre amici intraprendenti, Salvatore Cau (ora sindaco di Neoneli), Marco Deiana e Samuel Corda decisero di fondare le Cantine di Neoneli, compiendo il grande salto ed incominciando a produrre ed imbottigliare vino delle preziose vecchie vigne, non più per consumo personale ma con l’intenzione di immetterlo sul mercato, anche internazionale. Lo scopo principale fu quello di preservare questo importante patrimonio, prendendo in gestione quelle vigne a rischio di abbandono che alcuni compaesani diedero loro in adozione, poiché impossibilitati a continuare da soli. Tanta fatica, lavoro manuale e un sogno da realizzare: 8000 preziose bottiglie prodotte ad oggi che sono un piccolo numero ma sono una enorme conquista per Neoneli.

Avvennero anche dei piccoli miracoli: alcuni giovani, tra Ilario, nipote di uno dei soci della Cantina, rientrarono nella propria terra per iscriversi all’Università di Viticoltura ed Enologia di Oristano. Il tutto, investendo su se stessi, per unire la propria millenaria cultura con percorsi di studio qualificanti, con la speranza di non abbandonare nuovamente il proprio paese.

Samuel Corda, uno dei soci delle Cantine di Neoneli, incarna la passione, la tenacia e l'amore per la propria terra. Te ne accorgi da come parla di questi luoghi, dalla conoscenza profonda dell’ambiente naturale che si apprende solo sul campo, da come descrive i suoi alberelli: il Cannonau, il Pascale, il Nuragus, che accarezza e riconosce in base alla foglia e nomina uno a uno come se fossero le sue creature, che cura e a volte salva dalla morte. Qui la “moda” del vino e dei social network non trovano terreno fertile e non c’è nemmeno il tempo per dedicarvisi. Qui non si indossano maschere e non si usa il photo shop. C’è l’Italia, quella vera, all'opera.

Un'altra peculiarità di Neoneli è la varità di uve presenti nei vigneti che permette di raccogliere uva e produrre vino anche nelle annate più difficili.

Sembra quasi la metafora della storia di Neoneli: uniti ci si aiuta e si sopperisce alle mancanze.

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