Verona - Certo che è un colpo d’occhio fenomenale quello dell’Arena punteggiata di candeline accese, segno della tradizione operistica che Ligabue ha voluto restaurare proprio qui, nel tempio dell’opera per una sera convertita al rock. Ed è forse quel colpo d’occhio che lo consola, (sono pur sempre tredicimila persone in festa), quando, già durante la prima canzone Sono qui per l’amore, problemi tecnici azzoppano la sua voce, la spengono a tratti e lo costringono a interrompere il concerto quasi subito, così d’improvviso, come non succede quasi mai. Minuti di attesa. «Speriamo adesso di non dire troppe stupidaggini» si è lasciato sfuggire Ligabue evidentemente imbarazzato mentre qualcuno dietro al palco provava a risolvere i guai in fretta e furia e dal cielo cadeva ancora qualche gocciolina di pioggia.
Insomma, inizio col fiatone per quella che sarà una maratona di concerti (sette di seguito qui all’Arena, tutto esaurito, 90mila biglietti venduti) e in qualche modo la consacrazione di Ligabue come artista completo, non solo rockettaro tout court, ma cantante capace di piegare il suo repertorio anche alle regole di un’orchestra (quella dell’Arena) che ha ben altre leggi e, soprattutto, altri tempi. E allora bisogna dirlo: l’esame è stato superato quasi subito e la nuova opera di Ligabue ha iniziato a decollare.
Il giorno di dolore che uno ha e Sarà un bel souvenir arrivano dolcemente, con Ligabue che ha una voce arrochita ma dolce, perfettamente in linea con quello che sta succedendo sul palco. «L’apertura è così soffusa e delicata – aveva detto prima di cominciare – perché vorrei un po’ di concentrazione. Poi l’Arena la rovesciamo subito dopo».
In realtà non è stato così: Ligabue è nel mezzo del cammin verso chissà dove e già qui si è mostrato con una nuova pelle, forse più vicina a quella del cantastorie svincolato dai generi musicali piuttosto che al rockettaro che non va più in là, per dire, di Springsteen e Bob Dylan. E così, in un incedere complesso che sul palco alternava l’orchestra alla sua band, i fiati e i violini agli assoli di chitarra, ha provato a mostrare la sua nuova identità, che prenderà connotati più precisi nei prossimi mesi, quando se ne starà (finalmente) un po’ al riparo dai riflettori. Intanto sul palco dell’Arena, annunciato dal rosso festoso dei riflettori, lui è arrivato in jeans e giubbotto di pelle, quasi intimidito dall’impresa e subito placcato da quei problemi che zittirebbero qualsiasi cantante: niente voce, silenzio in scena. Però poi il concerto è volato via assai bene passando per L’amore conta, Viva!, Il centro del mondo, Sulla mia strada e quella Vita da mediano (cantata in coro) che fino a oggi è stato il suo biglietto da visita. In realtà, con queste sette serate all’Arena, Liga prova a cambiare ruolo, a seguire quella crescita, personale e artistica, che forse il suo ultimo repertorio teneva un po’ nascosta.
Benvenuto, allora.
E mentre sul megaschermo durante Non è tempo per noi scorrevano i primi undici articoli della Costituzione («Sembra la carta dei sogni», aveva detto prima di salire sul palco) lui si godeva l’abbraccio del suo pubblico, che lo coccolerà qui ancora per sei concerti e poi aspetterà di ritrovarselo diverso, molto diverso, al prossimo disco.
Intanto qui, da Piccola stella senza cielo fino alla conclusiva Buonanotte all’Italia, Ligabue è diventato davvero signore del palco, lasciandolo solo quando l’eco della musica si era ormai spenta tra le volte dell’Arena.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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