Ligresti, le sfide di don Salvatore tra Fonsai e CityLife

DEBITI Premafin e il gruppo assicurativo esposte per 2 miliardi. E Bpm ha rotto l’accordo di bancassurance

Durante la cerimonia di apertura del cantiere di CityLife, l’11 dicembre scorso, Salvatore Ligresti ha annunciato che modificherà il grattacielo disegnato per l’area dell’ex Fiera milanese dall’architetto americano Daniel Libeskind, un progetto la cui curvatura aveva suscitato le aperte critiche di Silvio Berlusconi («è orribile», aveva detto).
«Cercheremo di raddrizzare un po’ quella torre - ha dichiarato il costruttore-finanziere impegnato direttamente nella realizzazione del nuovo cantiere -; nella fase esecutiva si cerca di risparmiare e una torre storta costa di più». E così, con una bella linea retta, si otterrà una riduzione delle spese e allo stesso tempo si farà un favore al presidente del Consiglio. Non male.
Ma di cose da raddrizzare all’interno del suo gruppo, per la verità, l’ingegnere ne ha diverse e dovrà pensarci in questo 2010 che per lui si annuncia ricco di impegni. Intanto, ultima arrivata sul tappeto dei problemi, c’è la vicenda dell’alleanza nel settore bancassicurazione tra la sua Fondiaria-Sai (la perla più preziosa del gruppo) e la Popolare di Milano. Questo accordo è saltato a metà dicembre perché la banca presieduta da Massimo Ponzellini ha stretto un’intesa con i francesi di Crédit Mutuel, suo importante azionista. Quindi divorzio dalla Fonsai di Ligresti malgrado Ponzellini sia molto vicino al costruttore: è anche presidente di Impregilo, la prima società di costruzione italiana, partecipata al 30 per cento proprio dall’ingegnere. Un divorzio consensuale che era nell’aria e non comporterà costi per nessuno dei due. Ma lascerà Fonsai nella necessità di trovare un altro partner bancario che la affianchi nel redditizio e promettente settore vita.
I buoni rapporti con le banche saranno d’altra parte decisivi nei prossimi 12 mesi. Perché il gruppo Ligresti è parecchio indebitato. Premafin, la holding capogruppo, e Fonsai hanno un’esposizione finanziaria che si avvicina ai 2 miliardi di euro, quasi uguale al patrimonio. Nell’ultimo scorcio dell’anno scorso ci sono state delle difficoltà a far fronte al servizio del debito, molti accordi sono stati rinegoziati (e altri lo saranno). Soprattutto è stata messa a punto una di quelle operazioni di ingegneria finanziaria che contabilmente risolvono ogni problema, nei fatti lo spostano da un’altra parte, lasciando le banche padrone della situazione. Per alleggerire l’indebitamento di Fonsai è stato deciso di utilizzare il suo consistente patrimonio immobiliare: è stato creato un fondo chiuso, denominato Rho, assieme alla Fimit, società guidata da Massimo Caputi, per anni a capo (con risultati non straordinari) di Sviluppo Italia.
Un pool di banche finanziatrici (Unicredit, Intesa Sanpaolo, Bnp, Montepaschi, Banca Sai) permetterà al fondo di comperare immobili per 478 milioni di euro da Fonsai (e controllate) che dunque potrà far cassa.
Le quote del fondo sono già state collocate presso risparmiatori privati garantendo un rendimento di oltre il 6 per cento. Insomma, un’operazione costosa. Ora si vedrà se questi mezzi freschi verranno usati per consolidare ed eventualmente far crescere la compagnia o se invece si trasformeranno in dividendi e arriveranno alla holding capogruppo, la Premafin. La quale avrebbe bisogno di denaro fresco, dato che nei primi nove mesi del 2009 ha registrato delle perdite.
Nella cassaforte della famiglia Ligresti non sono rimasti molti gioielli da poter eventualmente dismettere per fare liquidità. Ritornato protagonista della finanza italiana dopo le disavventure di Tangentopoli, il gruppo è comunque dimagrito rispetto al passato. Negli anni scorsi ha dovuto, per esempio, cedere la società Grassetto e l’autostrada Torino-Milano al gruppo Gavio. Nel settore costruzioni è tuttora presente in Impregilo assieme ai Benetton e allo stesso Gavio. Ma questa società, che ha un eccellente portafoglio ordini in Italia e all’estero, avrà bisogno nei prossimi anni di un forte sostegno finanziario per affrontare tutti i lavori nei quali è impegnata (compreso il ponte sullo Stretto di Messina). Quindi è prevedibile che drenerà risorse, più che generarne. Conosciuto con il soprannome di «mister 5 per cento» per la sua abitudine di acquistare partecipazioni nelle società del cosiddetto salotto buono e ottenere, grazie alla sommatoria di tutti i pacchetti, un peso specifico di rilievo nella finanza e nell’imprenditoria italiane, Ligresti nei mesi scorsi ha fatto scendere, fino quasi ad azzerarla, la quota che deteneva nelle assicurazioni Generali. Lo ha fatto perché quelle azioni facevano capo alla Fondiaria-Sai e non era edificante che una compagnia di assicurazioni possedesse una quota significativa di una sua concorrente. Ma lo ha fatto soprattutto perché la vendita era necessaria, appunto, a rimpinguare le casse.
La contropartita è che ora il gruppo è escluso da uno degli appuntamenti più importanti e attesi dei prossimi mesi. Come si sa, entro la primavera si faranno i giochi per rinnovare i vertici del leone di Trieste; si deciderà, insomma, chi comanda nella più ambita società presente nel listino nazionale. Il presidente attuale, il francese Antoine Bernheim, 84 anni suonati, quasi certamente non sarà confermato. In lizza per succedergli ci sono vari candidati. Le voci, incessanti come sempre quando c’è di mezzo la compagnia triestina, tirano in ballo il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, e l’amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni. Ma il nome più gettonato è, da mesi, quello di Cesare Geronzi, presidente di Mediobanca che è la principale azionista (con il 14,76 per cento) delle Generali stesse. Geronzi e Mediobanca sono anche stati tradizionalmente vicinissimi al gruppo Ligresti, affiancandolo nella crescita e nei momenti di difficoltà.


Ha stupito, quindi, che non fossero presenti nel gruppo di banche che ha organizzato il progetto Rho, il fondo chiuso senza il quale la posizione finanziaria dell’ingegnere sarebbe diventata delicata. Evidentemente qualcosa è cambiato e sta cambiando nelle stanze di quelli che si amano definire «i poteri forti».

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