La Corte Costituzionale con la sentenza n° 232 del 16 giugno 2005 ricordando, in primo luogo, che alle Regioni è stata attribuita competenza legislativa concorrente in materia di edilizia ed urbanistica, ha però chiarito che, con riferimento alla specifica disciplina delle distanze tra costruzioni, si crei una interferenza con interessi che sono tutelati in via esclusiva solo dallo Stato.
Infatti, e non a caso, ha rilevato la Corte, la disciplina delle distanze minime tra fabbricati, trova anzitutto la sua collocazione negli artt. 873 e seguenti del codice civile in quanto attiene, in via primaria e diretta, ai rapporti tra proprietari di fondi.
Poiché però i fabbricati insistono su un territorio che può avere, rispetto ad altri, specifiche caratteristiche, la disciplina che li riguarda non interessa solo ed esclusivamente i rapporti tra privati ma coinvolge anche interessi pubblici. Per questo lo stesso codice civile attribuisce rilievo ai regolamenti edilizi stabilendo che possano prevedere anche distanze maggiori.
Ne consegue che, in quanto titolari di competenza concorrente e non residuale riguardo ad una materia che, relativamente alla disciplina delle distanze, interferisce con altra di spettanza esclusiva dello Stato, le Regioni devono esercitare le loro funzioni nel rispetto dei principi della legislazione statale.
Premesso quanto sopra la Corte ha, perciò, affermato che costituisce principio inderogabile quello in base al quale la distanza minima tra costruzioni deve essere determinata con legge statale, mentre in sede locale, nei limiti della ragionevolezza, possono essere fissati limiti maggiori. Nel contempo la Consulta ha specificato che le Regioni sono autorizzate anche a derogare ai "minimi statali" purché siffatte deroghe siano previste in strumenti urbanistici funzionali ad un assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio.
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