Roma I dubbi sulla competenza territoriale dell’inchiesta di Trani che coinvolge il premier avevano un fondamento. Sarà infatti spostata a Roma forse già oggi e comunque in tempi brevi la parte delle indagini su che riguarda le accuse a Silvio Berlusconi di concussione e violenza e minacce nei confronti dell’Autorità per le comunicazioni.
Le ipotesi di reato dovranno essere giudicate dal Tribunale dei ministri della capitale, perché le telefonate del presidente del Consiglio con il membro dell’Agcom Giancarlo Innocenzi e altri sono partite da Roma.
Era questo che sosteneva la memoria difensiva dei legali del premier, presentata mercoledì alla Procura di Trani e i pm avrebbero accolto la richiesta di trasferimento del fascicolo, anche se la formalizzeranno solo oggi.
Il resto dell’inchiesta Rai-Agcom, che ha come indagati lo stesso Innocenzi e il direttore del Tg1 Augusto Minzolini per favoreggiamento e rivelazione del segreto di indagine, dovrebbe rimanere nella cittadina pugliese perché il reato sarebbe stato commesso proprio a Trani, dopo l’interrogatorio dei due da parte dei magistrati. C’è però anche l’ipotesi che per «connessione» con il reato più grave, quello contestato al premier, anche questa parte delle indagini debba essere trasferita nella capitale.
A Roma, intanto, rientrano gli ispettori del ministero della Giustizia, inviati in Puglia dal Guardasigilli Angelino Alfano. Chiusa la prima fase del lavoro, il capo dell’Ispettorato Arcibaldo Miller e la sua collega faranno il punto della situazione e decideranno se è necessaria una seconda trasferta. Ma fanno sapere che hanno trovato un clima di «leale collaborazione» con i magistrati di Trani, «nel rispetto della diversità dei ruoli».
Dopo lo scontro istituzionale per l’iniziativa del Csm di aprire una pratica sull’ispezione voluta dal ministro della Giustizia e l’intervento del Capo dello Stato Giorgio Napolitano, a Palazzo de’ Marescialli ci si adegua alla linea indicata dal Quirinale: niente contrapposizioni con il governo, né pronunce preventive sul lavoro degli 007 ministeriali.
Così, la VI Commissione, cui è stata affidata la pratica, non ascolterà i magistrati di Trani, né gli ispettori e non acquisirà il mandato che Alfano aveva affidato loro. Non farà nessuna istruttoria sul caso, ma solo una risoluzione di carattere generale per ribadire i confini tra i poteri degli ispettori e la tutela del segreto investigativo.
Nella prossima riunione, mercoledì, potrebbe già essere pronto il documento finale da proporre al plenum. In esso verranno ribaditi appunto alcuni principi di carattere generale: gli ambiti di competenza del ministro della Giustizia e del Csm, il confine tra gli accertamenti consentiti agli ispettori e la possibilità per i magistrati di opporre il segreto investigativo a tutela dell’autonomia delle indagini.
La scelta, a questo punto obbligata, di non fare alcuna istruttoria viene condivisa da tutta la commissione, con l’unica eccezione del laico del Pdl Gianfranco Anedda, che pure non nasconde la sua «soddisfazione» per quella che considera una vera e propria «marcia indietro». «Si è riconosciuto di aver ecceduto - commenta Anedda, che dall’inizio era contrario alla pratica -. Quella del Csm sarebbe stata un’indebita censura illegittima ad un’attività che è propria del ministro». Il centrodestra, da Gaetano Quagliariello a Fabrizio Cicchitto, parla di «frenata» del Csm. Ma la presidente della Commissione, Ezia Maccora risponde: «Nessuna frenata, perché non c’è stata alcuna accelerazione».
Nicola Mancino, vicepresidente del Csm, precisa che Alfano si è «un po’ arrabbiato», ma Palazzo de’ Marescialli ha sempre riconosciuto la legittimità dell’ispezione. «Noi abbiamo - dice Mancino - fin dall’inizio ribadito due concetti: che è facoltà del ministro inviare in qualunque momento gli ispettori; e che c’è l’assoluta autonomia delle indagini da parte dei giudici. Nel rispetto di questa autonomia non c’è possibilità di interferenza tra l’attività ispettiva e quella di indagine». Per Mancino «c’è sempre stato il sereno tra le istituzioni».
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