Economia

L'incubo del fallimento: prove di fuga dall'euro

La strategia anti europea mette la Germania con le spalle al muro. Tocca alla Bce difendere la nostra valuta

L'incubo del fallimento: prove di fuga dall'euro

La difficile situazione dell’euro come causa dei nuovi problemi del debito pubblico italiano non è una invenzione di chi ha sostenuto che la causa della crisi non era Silvio Berlusconi, ma l’«euro-scetticismo» della finanza internazionale. È un fatto documentato dal New York Times, che ci informa che grandi banche dell’area del dollaro e della sterlina - non credendo che l’euro reggerà - hanno elaborato un piano B per la fuoriuscita dall’euro e stanno vendendo i titoli su cui potrebbero perdere. Ciò avviene in parte in contanti, in parte con operazioni a termine, cioè speculative, tese a guadagnare un differenziale. Le banche del piano B sono un vero Gotha: La Barclay’s Capital e la Royal Bank of Scotland (inglesi), la Merrill Lynch e la Citi Bank (Usa), la Nomura (giapponese che opera a Londra). Curiosamente (ma non tanto) ci sono banche tedesche che scommettono sulle perdite che subirebbero a causa della sconfitta dell’euro e della connessa disgregazione dei loro mercati. Secondo il giornale tedesco Handelsblatt, la Commerzbank vende suoi prodotti derivati che contengono una scommessa sul suo medesimo fallimento.
Dopo tutto, dicono questi banchieri, Commerz vende «derivati» che implicano l’andamento negativo o il crollo di molti titoli, tra cui ci potrebbe essere il nostro; tanto vale che noi, che abbiamo il primato di vendita dei derivati con 2000 prodotti, ci mettiamo anche quelli contro di noi. In effetti se l’euro crollasse, il marco tedesco si rivaluterebbe sul dollaro, mentre la lira italiana e il peso spagnolo si svaluterebbero e il franco francese rimarrebbe poco sotto la attuale parità dell’euro/dollaro. Noi avremmo un po’ di inflazione, ma venderemmo molto in Germania, mentre la Germania perderebbe competitività.
Ecco perché a Berlino non conviene che l’euro crolli. Anche i francesi ci perderebbero e comunque le banche dell’euro prive del loro mercato finanziario diventerebbero di serie B. Il New York Times, invero, fa sapere che nell’Eurozona ci sono grandi banche, in particolare francesi e italiane, che non credono nel piano B e hanno programmato la loro azione sulla previsione opposta. Bnp Paribas (che possiede anche Bnl), Société Générale, Unicredit hanno venduto titoli di debito europeo per decine di miliardi di euro, ma non ritengono di doverne vendere altri, perché convinte che la moneta unica reggerà. Aggiungo che anche Deutsche Bank ha venduto titoli del debito italiano per parecchi miliardi, ma sembra che ora ne riacquisti: i tassi alti attraggono e chi non crede che l’euro cada e ha abbastanza forza per tenerlo in piedi, di intesa con altri operatori potenti, ne ricava un guadagno netto.
A proposito di intese, il New York Times informa che il piano strategico di Intesa Sanpaolo per il 2011-2013 varato questo marzo prevede la tenuta dell’euro e non è stato revisionato. Le previsioni del piano B si basano sulla tesi che la Bce non comprerà i titoli pubblici dei Paesi in difficoltà dell’Eurozona, lasciando che l’euro crolli e su quella che il Fondo europeo di stabilità finanziaria non decollerà perché la Francia perderà la tripla A e, quindi, questo fondo perderà la sua capacità di comprare centinaia di miliardi di titoli dei debiti degli Stati europei. Questa seconda ipotesi è verosimile. Ma la tesi che la Bce si suicidi mi pare irreale.
Non è mai capitato che i banchieri che hanno in mano legalmente la cassa, in questo caso la stampa degli euro, decidano di affogarsi insieme a essa. La Bce sta comperando titoli italiani e spagnoli sul mercato secondario al ritmo di 20 miliardi al mese, che fanno 240 l’anno e si è impegnata a farlo, nella misura in cui questi Stati adempiono ai loro impegni di bilancio (vedi la lettera della Bce all’Italia), perché rientra nella sua missione di stabilità finanziaria, nell’ambito di una politica non inflazionistica, quale avrebbe luogo se essa finanziasse deficit di bilancio degli Stati con il torchio dei biglietti o, comunque, comprasse titoli dei Paesi membri sul mercato dei rinnovi in quantità eccessiva. L’Italia, in un anno, deve rinnovare titoli di Stato non semestrali per 220 miliardi circa e dovrebbe farne 20 di nuovo debito. Il 57% del nostro debito è in mani italiane, dunque gli stranieri e la Bce ne dovrebbero acquistare 104. Anche considerando la speculazione, la Bce ha i mezzi per difendere l’euro, anche perché il limite di 240 se lo è dato da sé, non è scritto. Dunque, Mario Monti cerchi di gestire bene il debito rassicurando i nostri risparmiatori, che adesso sono spaventati dalla minaccia di patrimoniali.

Di rassicurare i banchieri italiani non dovrebbe aver bisogno dato che li ha nel governo.
Francesco Forte

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