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L'industria soffre Il governo latita

di Francesco Forte

I dati del fatturato industriale italiano di marzo meno 1,6% su febbraio e meno 3,6 su base annua - e del primo trimestre meno 1,1% sull'ultimo del 2015 - costituiscono una doccia fredda, sia in sé e sia per le previsioni. Ora per quest'anno si prevede una decrescita del fatturato, o al più la sua stazionarietà, mentre prima ci si aspettava un incremento. Possibile solo se nel secondo semestre vi fosse una inversione di tendenza di cui però non si vedono segnali, anche perché i dati sugli ordinativi non sono buoni.

Gli ordinativi segnano, nel primo trimestre, una riduzione dello 0,8% sul mercato interno e del 2,3 su quello estero. Nel confronto degli ordinativi del primo trimestre con il primo del 2015 c'è, per fortuna, ancora un aumento: dell'1,4% che deriva esclusivamente dal mercato interno. La brusca frenata della nostra industria è in larga misura dovuta al calo del fatturato dell'auto che, sino a poco tempo fa, era il traino della modesta ripresa. L'auto registra un minor fatturato (dato diverso dal numero di auto vendute) del 3,3% nel primo trimestre rispetto all'ultimo del 2015 e del 6,5% rispetto al primo trimestre del 2015. Il nostro boom automobilistico si è sgonfiato perché è dipeso solo in parte dalla nuova competitività e dall'ampliamento dei prodotti di Fiat Chrysler. In parte si tratta d'un ciclo positivo europeo, che non può durare.

La ripresa della domanda di auto, dopo le rinunce provocate dalla crisi, necessariamente si ridimensiona: al boom di rimpiazzi successivi all'astinenza segue un tran tran di acquisti. Bisogna cercare nuovi mercati, il che nell'attuale situazione internazionale non è agevole. Le maggiori vendite di auto made in Italy, spesso sono avvenute grazie a prezzi contenuti, sia in euro sia nel cambio dell'euro con le altre valute. Ciò ha aiutato molto la quantità di produzione, ma meno il fatturato. Purtroppo allo sgonfiamento dell'industria dell'auto, si è accompagnato il calo della produzione siderurgica e quello della fabbricazione di prodotti di metallo. Sulla siderurgia pesa la crisi dell'Ilva, di cui il governo si sta occupando tardivamente. Pesano anche la carenza di investimenti in infrastrutture e le persistenti difficoltà dell'edilizia. È, poi, molto debole la domanda di beni consumo corrente come alimentari, tessili e arredamento. Il governo ha puntato sullo stimolo al consumo col bilancio in deficit e col contratto di lavoro a lungo termine, a tutele crescenti, che garantendo un posto stabile dovrebbe indurre a maggiori spese. La gente, però, nelle decisioni di consumo, è cauta perché ha paura di una situazione «tipo Grecia». I posti di lavoro fissi sono aumentati ma gli altri sono diminuiti, la disoccupazione è scesa ma rimane molto elevata. Per fortuna, qualcosa si muove: la nostra cantieristica ora miete successi all'estero.

Esportiamo molto nel complesso dei Paesi extra-eurozona, nonostante le nostre vendite in Cina, Russia del Brasile siano peggiorate. Ma mancano le riforme di deregolamentazione, sono carenti gli investimenti pubblici e i tagli fiscali orientati alla produttività e alla liberazione delle forze del mercato.

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