Politica

La linea di Casini votata solo da mezzo partito

Il leader: «Fatta giustizia di chi ha cercato di metterci i bastoni tra le ruote» Tabacci: «Il dibattito è vivo e continuerà»

da Roma

Per la mozione della maggioranza, cioè di Lorenzo Cesa e Pier Ferdinando Casini, votano in 200 su 380 delegati al Consiglio nazionale dell’Udc. Centoquarantuno sono gli astenuti o assenti, cioè i bacciniani e i tabacciani che preferiscono esprimere il loro dissenso non votando, mentre i «berlusconiani» di Carlo Giovanardi si attestano sui 39 voti. Insomma Casini vince, ma non stravince e si prende il 52% del suo partito, come sottolinea Emerenzio Barbieri all’opposizione con Giovanardi. Anzi Barbieri fa le pulci al segretario del partito e sostiene che a votare non erano 380 ma 230 con 141 assenti. Baccini e Tabacci, entrambi all’opposizione, preferiscono stare a guardare e sostenere la Cosa Bianca ognuno dei due con motivazioni diverse, la poltrona di sindaco di Roma il primo, il grande centro il secondo.
La maggioranza dei centristi di destra, dopo la rottura con Silvio Berlusconi, preferisce arrivare al referendum piuttosto che sottostare «al patto della frittata», tra Veltroni e Berlusconi. Anche se una volta giunti al referendum, la campagna elettorale che annunzia l’ex-presidente della Camera sarà per il no. Casini prende le distanze dagli oppositori, sostenendo che non «può essere tollerata alcuna azione antipartito e che tutti devono capire che stare dentro un partito vuol dire anche accettarne gli sforzi». E di fronte alla mozione finale «che condanna» i dissenzienti e «fa giustizia - secondo Casini - di chi ha cercato di metterci i bastoni tra le ruote», Giovanardi, leader della minoranza interna filoberlusconiana reagisce con disappunto: «È avvilente leggere su una mozione la parola «condanna». Solo la Santa Inquisizione o i partiti stalinisti usavano parole simili». Mentre Bruno Tabacci, rivendicando quanto da tempo sostiene rispetto alla Cdl, si dice sicuro che l’Udc come partito è già finito: «Può durare uno o due anni, ma si consumerà giorno dopo giorno». E polemizzando con Casini a cui ricorda come da alcuni mesi continuava ad affermare che se ci fossero state le elezioni anticipate «bisognava ricucire con il Cavaliere», Tabacci rilancia la proposta della «Cosa Bianca». «È necessaria farla il primo possibile - spiega alla platea - perché l’Udc non è più il contenitore adatto. Il dibattito è vivo e continuerà». E aggiunge: «Voi pensate che se Montezemolo scende in politica prende la tessera dell’Udc?». Baccini da parte sua si attesta definitivamente con Tabacci e attacca Cesa per aver fatto una relazione «insufficiente che non scioglie i nodi del partito».
L’anima più democristiana dell’Udc, quella di Totò Cuffaro e Rocco Buttiglione, vicesegretario dell’Udc il primo, presidente il secondo, spinge alla prudenza e punta alla legge elettorale. «Ora dobbiamo stare fermi e pensare alla riforma. Se la otterremo in senso proporzionale allora possiamo ragionare se dare più forza al progetto della «Cosa Bianca» afferma il presidente della Regione Sicilia che arriva in Consiglio nazionale con un accordo fatto con l’Mpa, il partito di Raffaele Lombardo uscito da tre anni dall’Udc in rotta con Casini, grazie al quale insieme nell’isola potrebbero ottenere oltre il 30% dei voti. E mette in guardia Tabacci da «iniziative belle e attraenti: questo processo politico non è ancora maturo. Non è così scontato - avverte “gli amici” dell’Udc - che domani tutto il mondo cattolico voti per noi e che dietro Pezzotta ci sia tutta la piazza del family-day».
Anche Rocco Buttiglione punta sulla riforma elettorale: «L’Udc tutta intera è il soggetto minimo che serve per un grande progetto. Non vedo il motivo di scioglierla. Con una nuova legge elettorale si creerà un’ampia area politica che può convergere su di noi, gran parte dei cattolici e dell’imprenditoria.

Noi dobbiamo essere pronti».

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