Linea dura di Zapatero sulla scuola La Spagna scende di nuovo in piazza

Il premier rompe il negoziato con popolari e cattolici: respinte con arroganza tutte le modifiche alla riforma

nostro inviato a Madrid
Sorride. Sorride orgoglioso, José Luis Rodriguez Zapatero, mentre protende la mano verso nuovi orizzonti. Gli hanno cambiato i connotati sul manifesto che troneggia in calle de Alcalá, sotto le finestre del Circolo di Belle Arti. Il ritocco estetico più elementare e antico del mondo: pizzetto mefistofelico e corna d’ordinanza, che spuntano sulla testa del leader che avrebbe voluto guidare la nuova rivoluzione di Spagna. Già, avrebbe. Perché, ritocco estetico a parte, il premier delle grandi battaglie più che sorridere ora fa sorridere. Perché lo sfregio che brucia di più, su quel manifesto, è una parola di sette lettere che, in queste ore, sta facendo il giro del Paese e rimbomba come una condanna senza appello: «Fracaso», insuccesso.
Perché Zapatero con la sua legge sui matrimoni fra gay, con il suo tiro, ad alzo zero, contro la Chiesa e sui suoi privilegi, veri o presunti, con i divorzi, gli aborti e le eutanasie lampo, ha stancato, deluso, sconcertato gli elettori socialisti e gli spagnoli. Perché Zapatero, con la sua «lungimirante» politica delle autonomie regionali e del rinnovamento dello Statuto Catalano, con il suo ondeggiare tra fermezza e concessioni all’Eta, fino a poche ore prima che si aprisse a Madrid il maxi processo a 56 separatisti baschi, non è mai precipitato così in basso. L’ultima battaglia, quella sulla riforma scolastica Zapatero l’ha persa prima ancora di cominciarla. Il suo atteggiamento intransigente con il fronte cattolico, ha fatto saltare ieri il negoziato che avrebbe potuto consentirgli di recuperare qualche centimetro di credibilità. Niente. Zapatero, dopo aver mandato in avanscoperta nei giorni scorsi, uno dei suoi più fidati scudieri, Alfredo Perez Rubalcaba, per abbozzare disponibilità, ieri ha inaspettatamente inasprito i toni del confronto bocciando gran parte dei 1.300 emendamenti alla Ley Organica de Education proposti dal Partito popolare, e arrivando a insultare pubblicamente Mariano Rajoy, definendolo un «ministro nulo», quando i popolari erano al governo, e il delfino di Aznar era titolare del dicastero dell’Educazione.
Deciso, tra l’altro, a svuotare di qualsiasi peso l'insegnamento della religione nelle scuole, il premier è stato rintuzzato ieri dallo stesso Rajoy che ha «parlato di nefaste conseguenze» per questo atteggiamento di chiusura mostrato dal capo del governo che sta «proseguendo nell’assurda strategia di isolare il Partito popolare». Risultato? Le associazioni familiari e scolastiche, organizzatrici della manifestazione che due settimane fa aveva mobilitato un milione di persone e alla quale avevano dato appoggio la Chiesa e il Partito popolare, hanno interrotto la trattativa annunciando nuove, sensazionali adunate di piazza per i prossimi giorni. «Abbiamo teso la mano a Zapatero per un patto serio e durevole, ma lui ci ha liquidato con preoccupante arroganza», ha ammonito Rajoy.
«Fracaso», dunque. Il fallimento di una politica e di un modello, certificato dai sondaggi. Se si votasse oggi il Psoe del premier avrebbe il 41 per cento dei voti. Con un risicatissimo punto percentuale in più dei popolari di Mariano Roy e dell’ex inquilino della Moncloa, José Aznar. In buona sostanza è il risultato peggiore, dalla vittoria alle elezioni politiche del marzo 2004, quando i socialisti ottennero il 42,6 contro il 37,6 del Partito popolare, cavalcando l’onda dell’emotività, seguita agli attentati di Madrid. La caduta libera del governo Zapatero è confermata da un’indagine dell'Istituto Opina, commissionata dal quotidiano El Pais. Ma gli aggiornamenti di queste ore, frutto di sondaggi interni socialisti, che indicherebbero addirittura il sorpasso da parte dei popolari, hanno fatto franare il terreno sotto i piedi del premier. Riuniti in tutta fretta gli stati maggiori del Psoe, hanno deciso di tentare di salvare il salvabile lanciando una campagna mediatica senza precedenti. Il segretario organizzativo del Psoe, José Blanco, spiegando ieri le finalità della campagna, ha ammesso che in questo momento è indispensabile ritrovare «maggiore complicità» con i cittadini. Eppur sorride, Zapatero. Sui manifesti e alla tv. Negli asili nido e in Parlamento. Sorrisi rassicuranti, quanto forzati dettati dalle circostanze. E, visto che tra le ragioni del grande flop, i sondaggi indicano anche il restyling dello Statuto Catalano, che ha suscitato un'opposizione trasversale, persino all'interno del Psoe, lui promette di ricompattare tutto e tutti.

Prendendosi trasversalmente cura del portafoglio di ogni spagnolo. «Presto metteremo mano alla riforma dell’Irpf, l’imposta sulle persone fisiche e ridurremo del 25-30 per cento la tassazione delle imprese». Promesso. Tra uno scivolone e l’altro.

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