Sono cinquemila edifici, di varia misura e imponenza, sparsi in tutto il territorio italiano e anche in quelli delle nostre ex colonie: le Case del Fascio, testimonianza di un periodo di grande fervore architettonico, oggi dimenticate, spesso in stato di degrado. Probabilmente quasi nessuno sa più nemmeno che cosa esattamente significhi il termine. Solo una, di queste sedi del Partito nazionale fascista, è stata sottratta alloblio grazie alla grande fama del suo ideatore: la Casa del Fascio di Como, manifesto del razionalismo italiano, progettata da Giuseppe Terragni.
Soprattutto a partire dal 1932, quando a Bologna venne appositamente bandito un concorso esteso a tutte le scuole darchitettura italiane, si assistette allaffermazione di questa particolare tipologia che diventerà un momento importante dellarchitettura e dellurbanistica. Giuseppe Terragni, certamente, ma anche Adalberto Libera, Saverio Muratori, Ludovico Quaroni, Giuseppe Samonà: i «nuovi» architetti si impegnarono in una gara nazionale - favorita dallappoggio che il fascismo dava allarchitettura, uno dei più efficaci strumenti della sua «fabbrica del consenso» - che divenne anche unimportante occasione per potersi misurare con tipologie edilizie innovative e, dopo le sanzioni del 1935, una sfida alla penuria di materiali dimportazione e una ricerca di materiali alternativi.
Di questo momento importante dellarchitettura fra le due guerre rende testimonianza il bel volume Larchitettura delle Case del Fascio (Alinea Editrice, pagg. 238, euro 32) curato da Paolo Portoghesi, Flavio Mangione e Andrea Soffitta.
Il linguaggio razionalista delle Case del Fascio
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