«Gli effetti del pugno di ferro di Sergio Marchionne sul “Sistema Paese”? Quando i segnali arrivano da un’azienda come la Fiat l’impatto è sicuramente forte. Leggo quanto sta avvenendo come un segno dei tempi. Oggi il mondo è cambiato: la competitività e la produttività delle imprese si ricercano in un mercato fortemente diverso». Federica Guidi, presidente dei Giovani imprenditori di Confindustria (sono 13mila, di età compresa tra i 18 e i 40 anni), analizza dal suo ufficio di Bologna (è vicepresidente e direttore generale di Ducati Energia, al cui vertice c’è il padre Guidalberto) la situazione generata dal capo della Fiat, Sergio Marchionne, di dare una svolta alle relazioni industriali in Italia, anche a costo di «strappare» con la Confindustria.
Marchionne ha messo l’accento sul fatto che l’Italia è l’unica area del mondo dove la Fiat perde.
«È una questione di “sistema”. La crisi del 2009 ha solo enfatizzato alcuni problemi radicati nel Paese, come la perdita di competitività, già esistenti molto prima che scoppiasse la crisi legata ai subprime. Lo scenario in cui ci misuriamo è cambiato. Oggi le aziende riescono a competere sui mercati grazie a una mutazione genetica iniziata da alcuni anni. Chi lo ha fatto sta intercettando quel po’ di ripresa».
È innegabile che il pugno di ferro di Marchionne ha creato i presupposti per un cambiamento radicale delle relazioni industriali.
«La Fiat sta facendo il massimo per rendere il suo modello produttivo più efficiente. Ma per stare sui mercati è necessario anche multilocalizzare, spostare cioè le linee produttive in giro per il mondo altrimenti non è possibile competere in certi territori. Ci vuole flessibilità. Il portafoglio ordini fisso di una volta non c’è più. Multilocalizzare, però, non vuol dire abbandonare l’Italia; significa adottare scelte in base al nuovo modello che il mondo offre».
L’atteggiamento di Marchionne ha creato parecchio trambusto nei sindacati e in Confindustria.
«Due anni fa, all’epoca del mio insediamento al vertice dei Giovani imprenditori, parlammo a Santa Margherita Ligure di “contratto ad personam”, una provocazione culturale. Oggi dico che lo schema contrattuale in alcuni casi è troppo rigido per i tempi che dobbiamo gestire. Non voglio esprimere giudizi sui sindacati, mai i tempi sono cambiati e ci troviano a che fare con strumenti datati».
Vero è che il mondo del sindacato si è presentato a questo appuntamento con la storia disorientato e spaccato.
«Nel rispetto dei ruoli, bisogna fare una sforzo di fantasia allo scopo di trovare soluzioni per il bene di tutti e in grado di portare a un modello di competitività che funzioni. È necessario creare maggiore ricchezza e distribuirla al secondo livello. La torta da dividere dev’essere sempre più grande».
La Fiom e la Cgil sembrano essere schiave delle ideologie, piuttosto che badare ai reali interessi dei lavoratori.
«Non esprimo giudizi. A pesare sono le rigidità che all’interno del sistema resistono e, in parte, il retaggio di un mondo che non c’è più».
Quella impartita da Marchionne è una lezione che lascerà il segno sui suoi associati?
«Si tratta di giovani colleghi che, come la sottoscritta, sono abituati a volare spesso, cercando di cambiare la pelle alle proprie aziende. Le mutazioni genetiche a cui accennavo prima. E vedono, come me, le altre realtà, come la Cina o l’India, cercando di sfruttare le opportunità di produrre oggetti all’insegna di una maggiore efficienza, senza per questo tralasciare l’Italia dove cerchiamo di investire, tenendo conto di come i tempi sono cambiati anche rispetto al core business originario delle nostre aziende. Il cliente, ora, mette a confronto più prodotti provenienti da Paesi diversi».
Il suo pensiero sul tema della deroga al contratto nazionale, oggetto dell’incontro tra Marchionne e la leader di Confindustria, Emma Marcegaglia.
«È importante e auspicabile trovare una soluzione per mantenere la Fiat nel sistema confindustriale».
Ha pesato sulle vicende di queste settimane la mancanza del ministro dello Sviluppo economico?
«Spero che il nodo sia sciolto presto, anche se ritengo che i temi sul tappeto oggi sarebbero stati gli stessi anche in presenza di questo ministro».
A trascinare la Fiat in Serbia sono state anche le irrinunciabili agevolazioni fiscali.
«Ci sono anche altri posti vicini all’Italia, come la Croazia o la Romania, che fanno ponti d’oro a chi vuole investire. L’Italia, lo ripeto, ha perso di competitività come “Sistema Paese”».
E se i 20 miliardi promessi dalla Fiat prendessero il volo?
«Sarebbe la dimostrazione tangibile di quanto ho appena detto, cioè la perdita di capacità di analizzare un modello di sviluppo».
Preferisce il modello di relazioni Usa o quello tedesco?
«Né l’uno né l’altro. Ogni Paese ha la sua storia. Si può comunque attingere da altri modelli dove il sistema è stato modificato. Ripeto e concludo: ci vuole uno sforzo di fantasia per ammodernare le regole da condividere».