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Lippi: «È giusto che la Juve sia finita in B»

Franco Ordine

nostro inviato a Viareggio

Due mesi dopo il trionfo azzurro di Berlino, Marcello Lippi si riaffaccia sul calcio italiano. I cronisti di Duisburg ospiti a Viareggio, sul terrazzo di un albergo piantato sul mare, lo interrogano su ieri, oggi e domani. Ne viene fuori un monologo. «Non farò mai il supervisore delle squadre nazionali, non è il mio lavoro, non sono fatto per la scrivania, io rendo al massimo solo sul campo. Ho ringraziato la Federazione e il professor Guido Rossi per l’offerta ricevuta: da quando è arrivato, nei suoi confronti ho nutrito della stima, poi è nato qualcosa di magico tra di noi. Non ho detto subito “no” per non dispiacere il mio interlocutore perciò è nata qualche piccola incomprensione. Pochi giorni prima dell’inizio del mondiale, avvertii Albertini della mia scelta definitiva: a casa, subito dopo la fine del torneo, qualunque risultato ci fosse stato. Come vedete, dopo due mesi, non ho cambiato idea, sono uno coerente. Ho ricevuto molte telefonate dall’estero, ho chiesto scusa, ma non ho accettato alcun dialogo, né incontro: è troppo presto. Durerà ancora un po’ questo mio isolamento; voglio godermi, finché resistono, sole e mare».
Sto con Donadoni. «A Berlino ho vissuto due giorni con Donadoni e in questo tempo il mio giudizio sulla persona e sul tecnico si è rafforzato: riuscirà a stabilire un rapporto col gruppo e riporterà al successo la nazionale, il suo cammino è appena cominciato. Deve ancora recuperare la forma e i migliori giocatori del mondiale. Ci vuole tempo. Anche a me, in partenza, due anni prima, era accaduta la stessa cosa. In questi giorni ho parlato con molti dei miei giocatori e ho detto loro che non è giusto fare paragoni né tecnici né umani, così come sono sicuro che questo gruppo non ha ancora esaurito il suo ciclo. Cannavaro, che tutti considerano già arrivato al capolinea, ha ancora davanti almeno tre anni strepitosi. Al ritorno da Berlino, dopo il mondiale, mi è capitato di tutto, ho avuto malori, malesseri, malattie. Avevo azzerato le mie difese immunitarie in quei due mesi vissuti con grande intensità. Prima di ritrovarsi, una squadra ha bisogno di tempo. L’esperienza è importante, d’accordo. Ma anche il Brasile si è affidato a Carlos Dunga, inesperto, l’Olanda a Van Basten, inesperto».
Non sono pentito. «Non sono pentito della scelta fatta, anche se dopo Berlino è successo di tutto e di più. Ho sentito sulla mia pelle la gratitudine e l’affetto della gente, ho capito che non c’è nulla al mondo di più aggregante che il calcio. L’accoglienza ricevuta a Roma, al ritorno dalla Germania, non la dimenticherò per tutta la vita. Per molti anni venivo riconosciuto come uno juventino, quel successo ha cancellato il mio passato di parte e mi ha restituito un affetto trasversale. Per il mio futuro non scarto alcuna soluzione lavorativa, sono uomo di campo, con i miei pregi e con i miei difetti. Non voglio andare in un posto dove sono sicuro di vincere, ma voglio andare in un posto giusto, perciò vale la pena di aspettare. Sto imparando l’inglese. A Ginevra, qualche tempo fa, ho ritrovato un vecchio amico, Alex Ferguson, del Manchester. Per dieci anni non avevamo mai parlato insieme, se non attraverso l’interprete. Adesso, invece, è andata diversamente: con un po’ di francese e con un po’ di inglese, ce l’abbiamo fatta. Non ci sono ostacoli, posso andare anche in Giappone. È vero, ai tempi del ritorno alla Juve dissi: non allenerò un altro club in serie A. Ma mi riferivo a quelli di vertice. In serie B? Non lo so, non è il momento. A Genova con la Samp? Da vent’anni Genova è un po’ casa mia e con quelli della Samp ho una grande familiarità».
Io, la Francia e Zidane. «Ho rivisto tutte le partite del mondiale, una per una, più di una volta. Mi sono rimesso davanti alla tv per rivedere gli azzurri con la Croazia, a Napoli e a Parigi. Ho ricevuto sempre emozioni forti. Ho apprezzato il comportamento dei francesi nelle ore della vigilia: hanno capito in fretta che non c’era in palio nessuna rivincita. Con Zidane non ho mai parlato, pur avendo avuto con lui frequentazioni e buoni rapporti. Lui sa che ha sbagliato. Il resto è cosa loro, tra lui e Materazzi. Anche Fifa e Uefa hanno mostrato, nei nostri confronti, una grande considerazione. Abbiamo ricevuto, nell’ultimo convegno aperto a tutti i ct, l’omaggio di Blatter e di Johansson, un omaggio molto sentito e autentico».
Totti e la nazionale. «Io sono per rispettare le decisioni delle persone, quindi anche quella di Francesco. Ma è giusto che due persone abbiano un dialogo. Faccio fatica a pensare che Donadoni e Totti non si siano capiti, bisogna che completino il loro dialogo».
Moggiopoli. «Sbaglia chi dice che non è successo nulla. Accidenti cosa è successo. Juve in B, dirigenti squalificati, squadre penalizzate. Di sicuro si può ipotizzare maggiore serenità nei confronti degli arbitri. La Juve in B non deve fare nessun effetto, siccome è successo qualcosa è giusto che vada a Rimini e basta. Se si affronta il campionato cadetto senza l’impegno e la dedizione di sempre, è un errore. L’ultimo problema della Juve sarà l’aspetto psicologico. Mi è piaciuto tanto Buffon, ho seguito Moggi in tv, ma non commento».
Il rigore di Grosso. «La sera di Berlino avevo dentro la convinzione di farcela, era roba nostra quella coppa. Non so perché, ma era così.

Dissi a Grosso: tu tiri per ultimo, sei l’uomo della fine».

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