nostro inviato a Duisburg
Fa un certo effetto scorgere la Germania di Klinsmann mentre apre la difesa della Svezia come una scatoletta di tonno e in dodici minuti appena si procaccia laccesso ai quarti di finale. Fa un certo effetto per chi ha negli occhi il ricordo di quella Germania lenta e macchinosa, vista a Firenze, in amichevole contro gli azzurri, subire una sconfitta umiliante, con Toni e Gilardino scatenati sotto porta, per loccasione arrivò anche un guizzo di Del Piero, il 1° marzo la data, meno di quattro mesi fa, non un secolo prima. Fa un certo effetto anche se la storia del calcio tedesco deve pure insegnare qualcosa a chi immagina invece che la lenta marcia di avvicinamento al mondiale delle truppe della nostra cara, vecchia Pantegana bionda, ct per corrispondenza, costituisca una traccia attendibile di difficoltà, un indizio autentico di probabile fallimento. I precedenti parlano un linguaggio eloquente: mai fuori dalla fase finale del mondiale, i tedeschi. La loro striscia iridata, dal Giappone alla Baviera, è illuminante: 9 partite, 8 squilli di tromba, una sola sconfitta, nella finale contro il Brasile di Ronaldo. «Da tempo non vedevo la Germania giocare così bene» è il complimento strappato a Franz Beckenbauer, uno che se ne intende e che non si scioglie in cerimonie. Se bastano due guizzi di Lukas Podolski per fare secchi gli svedesi, bisogna segnalare il fatto che Klinsmann e i suoi prendono di petto il rivale, lo sbattono contro il muro della loro fragile difesa e ne vengono a capo facilmente. Con Ballack che scheggia un palo, con almeno altre dieci occasioni per rendere più rotondo il risultato, più allegra la festa che dilaga in tutto il Paese.
Fa un certo effetto, più tardi, lasciarsi stregare dalla partenza a tavoletta di Argentina-Messico: Marquez spunta alle spalle di Cambiasso e sorprende gli eredi di Maradona, una sponda galeotta di Crespo rimette in pari la sfida. Se questo è leffetto procurato dagli ottavi, si può rivolgere un pensiero oltre che un incoraggiamento al ct Lippi alle prese, in queste ore, con un piccolo rompicapo. Che non riguarda solo il disegno tattico della nazionale da opporre allAustralia ma anche la strategia da mettere in campo. Bisogna seguire la strada maestra tracciata da Klinsmann e poi battuta dal coraggioso Messico. Domani, a Kaiserslautern, sulla collina del diavolo, lo stadio intitolato a Fritz Walter, si apre ufficialmente la stagione del «dentro o fuori» per gli azzurri. È inutile inseguire calcoli e astuzie da oratorio, farsi irretire da una visione provinciale del mondiale. È il caso invece di schierare il meglio della propria artiglieria e puntare sulle qualità della rosa, sul talento di Totti che pure è al 60% del suo potenziale per avere la meglio sugli armadioni australiani che hanno forza fisica, corsa ma non certo lo spessore tecnico della compagnia di Lippi. Col Ghana funzionò: è cosa buona e giusta ripartire da quella formula, spettacolare ed efficace, per ridare slancio alla missione azzurra. Dal virgolettato dello spogliatoio si colgono frenate, prudenze eccessive. È il segnale di una ridotta autostima. Per sbaragliarla, bisogna armare il tridente. Sperando che il Totti chiacchierato si produca in un orgoglioso sussulto.
LAustralia può incutere rispetto non paura. Hiddink è una volpe della panchina ma non un prestigiatore.
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