LISTE DI SINISTRA 2006: 26% 2007:16%

Erano quasi quarant’anni che non mettevo piede in un liceo. Il lettore dunque perdonerà l'andamento di questo articolo, che rischia di essere un po' sghembo e sconclusionato. Il fatto è che, appena messo piede al Mamiani, storico liceo classico di Roma, piuttosto che al Berchet di Milano, che è stato il mio liceo, lo slow dei ricordi e della nostalgia ha finito per prevalere. Una specie di Shining, ma senza horror. Con le facce dei compagni, dei professori, perfino dei bidelli e del preside Barbarito (davanti al quale, ma ancora per poco, si stava a occhi bassi e a chiappe strette, se uno era stato beccato a fumare nei bagni) che son tornati a far ressa nei pensieri. E ora che si tratta di tirare le somme, e scrivere una storia sensata, non so neanche se ho fatto tutte le domande che avrei dovuto.
Se siano davvero cambiati la scuola e gli studenti, come segnalano le ultime elezioni che hanno visto un arretramento della sinistra e una netta affermazione della destra, dei cattolici e delle liste fai da te, non so... Nei fondamentali non direi. Le ragazze sono come son sempre state: belle e spavalde le belle, perennemente risentite le bruttine. I ragazzi, idem. Disinvolti e sereni i ganzi: quelli che sfangano il latino, il greco e la matematica senza patemi e ai quali, per colmo di ingiustizia, va alla grande con le tipe. Problematici e viranti sull'esistenzialismo cupo, con bave di depressione, quelli coi brufoli: dunque più fragili e insicuri.
Se poi sia cambiata la scuola, nei fondamentali, anche questo non so. Certo che parlare di destra e sinistra, in un mondo in cui gli schieramenti risultano morti e sepolti da un pezzo, e perfino il sigaro e il basco del Che sono stati rispediti al costumista, pare alquanto privo di senso. Nel senso che il vento dell'antipolitica ha preso a soffiare fra le teste dei ragazzi prima ancora che fra quelle dei grandi, generando disgusto, disaffezione, disprezzo. Inutile dunque stupirsi se al liceo Berchet vince una lista legata a Cl che si richiama a Chuck Norris, lo sceriffo di Walker Texas Ranger, e se i pugni chiusi, le braccia tese, le falci e i martelli fanno lo stesso effetto, le poche volte che a qualcuno vien voglia di esibirli, di un mobile rococò in discoteca. Berlusconi e la Moratti erano «patetici»? Mai quanto Prodi e Fioroni, ribattezzati «la comica finale». Non resta che la terza via, quella «destra» con cui per decenni non si è parlato a prescindere.
Addio ai fervori rivoluzionari e agli empiti palingenetici che connotarono la nostra generazione di sessantottini, divisi tra Mario Capanna e gli altri, che non essendo comunisti erano iscritti d'ufficio, e in blocco, tra i «fasci». Ora si combatte per la sala prove dove esibirsi col gruppo rock, per installare i pannelli solari, per dire no agli esami di riparazione e per migliorare la qualità e i servizi del bar (il bar! A scuola!)
Cosimo Guarino, 55 anni, napoletano, preside del «Mamiani», storico liceo «di sinistra» che licenziò premi Nobel come Emilio Segrè e premi Oscar come il musicista Nicola Piovani, parla di crisi di identità. E certo pensa un po' anche alla sua, di sessantottino un po’ pentito che ora parla di meritocrazia e auspica una nuova primavera di bocciature. «Una crisi che è dei partiti, della politica, e che si è riverberata sulla scuola. Ed ecco il risultato: una generazione assopita, fatta di ragazzi apatici, privi di quella spregiudicatezza che avevamo noi rispetto agli schemi fissi, agli obblighi che avevamo ereditato. Si ricorda quelle assemblee infuocate per decidere se unirsi al corteo dei metalmeccanici? Chiuso, finito». Meno male, obietto. «Già. Però si è perso in originalità, in creatività, in profondità. E ora ci ritroviamo con ragazzi e ragazze che hanno bisogno della comodità, dell'ovatta, della guida, dell'accompagnamento. Espressione, talvolta, di un vuoto esistenziale e di una mancanza di progettualità che generano un senso di frustrazione e di sconfitta. Figli di genitori che dicono sempre sì, aggiungo».
E le colpe della scuola? «Anche della scuola, certo», ammette Guarino. Una scuola infiacchita «che ha favorito il recupero delle insufficienze e non ha premiato mai le eccellenze. Si è promosso il piattume».
E i docenti? In crisi anche loro. «Gente che sente sempre più il disagio del ruolo, dovendo sobbarcarsi anche i compiti che un tempo spettavano alla famiglia, e che la famiglia ha smarrito. Sapesse quante circolari ho scritto sul comportamento, sulle regole, sul rispetto degli orari».
Che malinconia, che senso di sconforto, che mal di mare dopo un'ora passata a chiacchierare con Alice, Martina, Julien, Lorenzo, Niccolò e i loro compagni. Lo spettacolo della politica? «Ridicolo, quando non disgustoso. Un gioco condotto da ipocriti, rappresentanti di una realtà virtuale», dice Martina, 18 anni, terza E. «Una partita che si fa contro qualcuno, non a favore della gente, senza uno straccio di progetto per il Paese», aggiungono Niccolò e Julien. Eccola qui, la futura classe dirigente. Disillusa, un po' apatica, convinta che tanto non vale la pena. Scoppiavano amori furibondi, una volta, alle superiori. Roba che sembrava per sempre. Oggi, invece, nemmeno questo. «No, chi se la prende questa responsabilità? I rapporti sono occasionali, senza impegno - dicono a una voce -. Tutto finisce presto, come ci insegna la cronaca. Le storie durano un giorno, una settimana. Si va di corsa, non c'è tempo. E poi basta guardare l'esempio dei nostri genitori: uno di qui, l'altro di là».
Innocente Pessina, 54 anni, da cinque preside del «Berchet», a Milano, offre una visione non meno sconfortante. Ma con qualche lampo di luce. Pessina racconta di «ragazzi fragili che vanno in crisi, insieme con le loro famiglie, per un votaccio. Incapaci di accettare i loro limiti; abitati da un senso di inadeguatezza e da una timidezza che i piercing e i tatuaggi non riescono a nascondere, ma che si pensa di cancellare con uno spinello e con gli psicofarmaci. Per non dire delle ragazzine: dieci casi di anoressia l'anno scorso. Ma insieme con questo anche episodi di eroismo, di ragazzi che progettano settimane di volontariato in Romania, e di altri che hanno chiesto ai più bravi studenti delle terze di fare da tutor ai ragazzi del ginnasio. Ma nessuno pensa più, come pensavamo noi, di cambiare il mondo. Le promesse elettorali riguardano al massimo la collocazione di una macchinetta per il caffè al terzo piano, o la scuola di musica autogestita».
E tuttavia, non è rimasta che la scuola, secondo il preside Guarino, «per arginare la deriva dell'isola dei famosi. Quello è il modello: il calciatore ricco e famoso, la velina, il successo facile. Noi diamo ancora un messaggio controcorrente, fuori moda: il raggiungimento dell'obiettivo attraverso lo studio, il sacrificio. Val la pena di rafforzarlo, questo baluardo».
Suona la campana. Nelle classi di tutta Italia comincia la terza ora. La scuola va, come il Paese: un po' alla deriva. Ma pacatamente.
Nel cortile del Berchet, dove svetta una parete attrezzata per aspiranti alpinisti, un gruppo di ragazzi gioca a pallone. Una coppia si bacia appassionatamente. La ceneriera è colma di mozziconi. Ce la faranno anche loro, mi dico. Perché la scuola conta, certo. Ma tutto il resto è vita. In fondo al corridoio, davanti alla segreteria, dietro un ragazzino che inalbera una keffiah fuori stagione, un miraggio: è lei, la professoressa Barilli, che in quarta ginnasio mi rimandò in latino e greco.

Quando le dissi che da grande volevo fare il giornalista mi guardò come una merdaccia, la bazza in tumulto, e col suo bell'accento bolognese latrò: «Mo sentitelo. Il giornalista! Mo al massimo scriverai viva il Pci sui muri». E invece, nel mio piccolo...

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