L'Italia non è un paese per bimbi Pochi servizi e nessun incentivo

Meno servizi per i giovani e le famiglie uguale meno bambini. Questa la denuncia che emerge dal primo "Libro Bianco 2011. La salute dei bambini"

L'Italia non è un paese per bimbi Pochi servizi e nessun incentivo

Meno servizi per i giovani e le famiglie uguale meno bambini. Questa la denuncia che emerge dal primo «Libro Bianco 2011. La salute dei bambini». Si tratta di un’ analisi dello stato di salute della popolazione pediatrica italiana fino ai 18 anni di età, con una valutazione della qualità dell’assistenza sanitaria offerta dalle regioni italiane.
 
Il Libro Bianco è pubblicato dall’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane dell’Università Cattolica di Roma, in collaborazione con la Società Italiana di Pediatria (SIP), presieduta dal professor Alberto Ugazio, e coordinato dal professor Walter Ricciardi, direttore dell’Istituto di Igiene della Facoltà di Medicina e Chirurgia.
 
Tra i tanti temi affrontati la ricerca mette anche in luce una nuova realtà che negli ultimi dieci anni ha assunto contorni sempre più definiti. In Italia è in atto un’inversione di tendenza: regioni in passato ad alta natalità, ovvero tradizionalmente quelle del Sud, sono ora le meno prolifiche. Quelle che offrono più servizi per i giovani e le famiglie, come ad esempio la Provincia Autonoma di Bolzano, sono passate invece da bassi ad alti tassi di natalità. Non è vero dunque che le donne che lavorano non fanno più figli. Anzi sono le casalinghe “disperate“ e con meno possibilità economiche quelle che oggi devono rinunciare pure alla maternità.
 
Purtroppo la verità che emerge con chiarezza è che il nostro non è un paese a misura di bambino. Non esistono incentivi a metter su famiglia e le politiche del welfare ignorano, semplicemente, i bisogni dell’ infanzia.
 
A confermare quello che è comunque già evidente a tutte le famiglie italiane ci sono i dati Istat del 2010. La spesa per la protezione sociale sostenuta è pari al 29,9 per cento del Prodotto interno lordo, Pil. Alla previdenza vengono destinati i due terzi della spesa (66,4), alla sanità un quarto (25,6). Per le politiche per la famiglia si spende soltanto un ventesimo (4,7) mentre in Francia ad esempio lo stanziamento è doppio. Soltanto lo 0,3 per cento del Pil è utilizzato per contrastare l’esclusione sociale e la povertà e favorire le politiche per gli alloggi. .
 
Tra le note dolenti come già accennato c’è la bassa natalità. L’evoluzione della natalità, nei due periodi temporali presi in esame dalla ricerca, 2002-2004; 2008-2009, è rimasta, a livello nazionale, costante e pari al 9,5 per cento. Nascono 9,5 bebè ogni 1000 abitanti. Il primato positivo spetta alla Bolzano, 10,7 mentre quello negativo al Molise, 7,6. Dal triennio 2002-2004 al biennio 2008-2009 la natalità è comunque pure diminuita nelle regioni dove era più alta (provincia autonoma di Bolzano, Campania, provincia autonoma di Trento e Sicilia) e nelle regioni meridionali, a eccezione dell'Abruzzo che presenta un lieve incremento (più 0,2 punti percentuali) e della Sardegna il cui valore è rimasto costante. L’Italia dunque rischia di rimanere un Paese di “nonni senza nipoti”, tanto sono bassi natalità e ricambio generazionale. Basti pensare che dal 1871 al 2009 la natalità si è quasi dimezzata (meno 74,25 per cento ) e attualmente si assesta al 9,5 contro, ad esempio, il  12,8 della Francia, il 10,8 della Spagna, il 12 della Svezia e 12,8 del Regno Unito.

Tra i servizi di cui usufruiscono i bambini anche l’assistenza pediatrica  appare a rischio. Le famiglie italiane possono contare su una fitta rete di pediatri territoriali. Il numero dei pediatri a livello nazionale nel periodo 2001-2008 è aumentato del 6,3 per cento, passando da 7.199 a 7.649. Il loro numero però è destinato a calare. Nell'indagine si calcola che, già a partire dal 2015, i pediatri disponibili per l'assistenza primaria ai bimbi italiani diminuiranno in modo drastico in quanto una grande quota di questi andrà in pensione e dato che l'accesso alle scuole di specializzazione prevede il numero chiuso, non sarà possibile assicurare il turn over.  Insomma i pediatri denunciano: non ci sarà numero sufficiente di nuovi specialisti pediatri che possano sostituire quelli che andranno in pensione perchè non è stata fatta una programmazione intelligente per gli ingressi nelle scuole di specializzazione di pediatria. Una recente indagine della Società Italiana di Pediatria, la progressiva riduzione di pediatri, già in atto dal 2010, porterà dagli attuali 15 mila professionisti ai 12 mila nel 2020, che scenderanno a quota 8000 nel 2025. La soluzione proposta dal governo come già denunciato nei giorni scorsi è quella di fermare l'assistenza pediatrica a 6 anni, affidando le cure da 7 anni in poi al medico di medicina generale. Soluzione pessima, denunciano i camici bianchi, a tutto danno della salute dei bambini.

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