Live 8: Roma poteva inviare un messaggio diverso

Simone Turchetti

È una delle forme più degradanti di sfruttamento. Bambini, a volte molto piccoli, costretti a elemosinare per strada, ai semafori o in metropolitana. A Roma si stima siano 300 o 400, anche se molto dipende dai flussi migratori. Per combattere l’accattonaggio minorile è nato due anni fa il Centro comunale di contrasto alla mendicità infantile, promosso dall’assessorato alle Politiche sociali del comune di Roma assieme alla Prefettura, alla Procura minorile e al Tribunale dei minori, con il patrocinio dell’Unicef.
Ieri il Centro ha tracciato un bilancio della propria attività, dopo aver seguito 1008 bambini. L’identikit del piccolo mendicante è presto fatto: 12 anni, in prevalenza romeno, in Italia con la famiglia da circa 5 mesi. È irregolare, forse clandestino, e ricorre alla questua perché è povero. Il suo stato di salute è buono, ma soffre per la mancanza d’igiene: piccole infezioni, dermatiti e pidocchi sono la norma.
Anche se l’età media è 12 anni, la maggior parte delle vittime del fenomeno appartiene alla fascia d’età tra i 13 e i 15 anni (il 42% circa del totale), mentre i bambini tra i 10 e i 12 anni sono quasi il 28%. In questa classifica dell’infanzia interrotta seguono i piccoli tra i sette e i nove anni (il 7,3%), quelli tra i quattro e i sei anni (1%) e perfino bimbi fino a tre anni (2,7%, una fredda percentuale comunque difficile da mandare giù).
Per quanto riguarda la provenienza geografica, prevale nettamente la Romania, patria dell’84% dei piccoli, seguita dai Balcani (Bosnia 10% e Serbia 3%). C’è anche una piccola quantità, lo 0,5%, di casi italiani. «Non si può restare indifferenti di fronte al fatto che, anche nelle nostre città, vi sono bambini che vivono gravi situazioni di sfruttamento» ha dichiarato Raffaella Milano, assessore comunale alle Politiche sociali, commentando i dati. «È per questo motivo che è nato il Centro di contrasto, tramite il quale la comunità cittadina si fa carico dei bambini in difficoltà». Il Centro, una casa-famiglia, ha sede una villetta a tre piani vicino all’uscita Boccea del Raccordo anulare. Qui si ospitano i bambini, contattati da unità di strada o attraverso le segnalazioni dei cittadini al call center della struttura, attivo 24 ore su 24 da oltre un anno. Le chiamate, dal febbraio del 2004, sono state quasi quattromila.
Al loro arrivo i piccoli sono accolti da mediatori culturali, che li rassicurano e li fanno sentire protetti. Vengono poi visitati dai pediatri volontari dal Policlinico Umberto I, per verificare anche eventuali abusi. Infine si inizia ad indagare sulla loro storia. Quando esiste un legame familiare, si organizza un incontro con i genitori o altri parenti. Grazie ad un accordo informale con le forze dell’ordine, questi incontri sono possibili anche quando i familiari non hanno un permesso di soggiorno. Si chiarisce la responsabilità della famiglia nei riguardi del minore, e si attiva un monitoraggio.

Se il bambino viene ripescato a mendicare nei giorni successivi, i genitori rischiano di perdere la patria potestà. Quando invece il minore non ha parenti, viene affidato ad una casa-famiglia. In questi due anni, è capitato a 122 bambini. Non più costretti a tendere le loro piccole manine sporche.

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