da Roma
Vae Victis. Guai ai vinti ma anche a chi, a più di cinquant'anni di distanza, prova a raccontare la triste storia dell'Hotel Meina sul Lago Maggiore. Fortuna che dietro la macchina da presa c'è Carlo Lizzani altrimenti apriti cielo se, com'era previsto inizialmente, a dirigere il film ci fosse stato Pasquale Squitieri. Il regista napoletano è uscito dal progetto per contrasti con la produttrice Ida Di Benedetto a cui non piaceva la stesura iniziale della sceneggiatura perché, ha rivelato ieri alla presentazione del film, «non rappresentava a tutto tondo i colpevoli della strage, ma li mostrava un po' buoni e un po' cattivi». Ma curiosamente anche uno politicamente corretto come Lizzani, 85 anni a sinistra e più di 50 film alle spalle (nel 1947 era a Berlino come assistente di Roberto Rossellini per Germania anno zero), ha dovuto difendersi dagli attacchi piovuti sul suo film applaudito allo scorso festival di Venezia e da venerdì nelle sale in concomitanza con le celebrazioni per la Giornata della Memoria (presto sarà proiettato nei licei italiani e il 22 febbraio verrà presentato a Hollywood dallo sceneggiatore Steven Zaillian, premio Oscar per Schindler's List).
Hotel Meina, tratto dall'omonimo libro di Marco Nozza (edito da Il Saggiatore), racconta dell'estate del '43 quando, per fuggire alle persecuzioni razziali, un gruppo di ebrei italiani provenienti dalla Grecia si stabilisce in quel famigerato albergo sul Lago Maggiore. L'hotel, gestito da ebrei di origine turca, è un'oasi di relativa tranquillità fino a dopo l'8 settembre quando giunge un reparto di SS capitanato dal comandante Krassler. Gli ebrei vengono reclusi nell'hotel e inizia una settimana di attesa, terrore e speranza. Si discute sulle possibilità di fuga, mentre gli stessi tedeschi attendono ordini. Poi inizia l'escalation verso quella che sarà la prima strage di ebrei in Italia.
Fin qui tutto bene, se così si può dire. Senonché Lizzani ha avuto la malaugurata idea di inserire nel suo film il personaggio di una donna tedesca, resistente antinazista sotto mentite spoglie, la quale si prodiga per aiutare gli ebrei. Un'invenzione che ha sollevato i dubbi di molti, tra cui la signora Becky Behar che poco più che bambina si salvò con la famiglia. Il regista, che ha comunque accettato alcune modifiche proposte dalla signora Behar, spiega così la sua scelta: «Accanto al Male anche il Bene, in quelle strane giornate dell'Hotel Meina, si presenta in modo nuovo e inatteso rispetto alla drammaturgia che solitamente ha raccontato la Shoa. È il personaggio della tedesca Erika a gridare forte la sua condanna nei confronti di Hitler. E questo in nome dell'altra, della vera Germania. La Germania di Kant, di Goethe, di Schiller, di Mann.
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