Lizzani: il mio Hotel Meina in ricordo degli ebrei uccisi

Il regista parla della pellicola sulla strage piemontese del ’43, evento speciale alla Mostra di Venezia

Lizzani: il mio Hotel Meina in ricordo degli ebrei uccisi

da Milano

Hotel Meina, film basato sul saggio di Marco Nozza che sarà alla Mostra di Venezia (dal 29 agosto), nasce da percorsi paralleli in direzione apparentemente opposta. A proporlo e a firmarne la prima stesura è stato Pasquale Squitieri, già considerato comunista, poi fascista; a realizzarlo e a firmarne la stesura definitiva è Carlo Lizzani, già considerato fascista, poi comunista.
Co-sceneggiatori sono Lino e Filippo Gentili, ebrei di famiglia, come alcuni personaggi del film, ispirato alla strage sul lago Maggiore: sedici ospiti ebrei di un albergo, a sua volta di proprietà di ebrei, l’Hotel Meina, furono tenuti prigionieri fra il 16 e il 22 settembre 1943, poi uccisi presso Baveno da reparti tedeschi che avevano occupato l’Italia, in seguito all'armistizio reso noto l'8 settembre, e vi applicavano i metodi spietati praticati sul fronte russo, da dove provenivano. In quei giorni la Repubblica sociale italiana non era stata ancora costituita e i militari tedeschi agivano senza dover tener conto di nessun'altra autorità che quella dei loro comandi.
Signor Lizzani, escono un suo film e anche un suo libro, Il mio lungo viaggio nel secolo breve (Einaudi).
«Il mio libro rielabora diari che ho sempre tenuto; il film deriva invece dall'inchiesta di Nozza».
Di Squitieri quanto resta nel film?
«L'impianto della sceneggiatura è radicalmente cambiato. Resta il fatto storico, coi confini ampliati».
Ovvero?
«Facendo ruotare attorno alla vicenda vari altri eventi di quel momento».
Per esempio?
«Le azioni europeiste dalla confinante Svizzera di Altiero Spinelli; il personaggio della tedesca antinazista s'ispira a Ursula Hirschman, poi compagna di Spinelli».
Squitieri è alla Mostra anche con La vendetta è un piatto che si serve freddo nel ciclo dei western italiani. All'epoca lui la pensava come lei.
«E proprio allora l'ho conosciuto e stimato. Se non ho concordato con le idee politiche successive di Squitieri, concordo sempre con la sua professionalità».
Come gli è subentrato nella regia di Hotel Meina?
«Dopo i suoi dissapori con la produttrice, Ida Di Benedetto, ho parlato con lui, che ha accettato il mio ingresso, purché fosse mantenuto il suo nome nella sceneggiatura».
Precedente: lei diresse e Pasolini interpretò Requiescant, scritto dal già fascista Adriano Bolzoni...
«... un altro western, d'orientamento guevarista. Era il 1967: da quarant'anni queste complicità paiono impossibili, ma non lo erano».
Pasolini aveva già recitato per lei nel Gobbo, ambientato sempre nel 1943.
«Ho girato vari film sul periodo bellico: Achtung, banditi; Siluri umani; L'oro di Roma; Il processo di Verona; Mussolini ultimo atto… ».
Un documentario sulla sua carriera sarà alla Mostra: «Carlo Lizzani, un viaggio in corso».
«Lo firmano Francesca Del Sette e l'australiana Veronica Mona, che proprio in Australia ha trovato un filmato di lavorazione di Achtung banditi!».
Torniamo a Hotel Meina. Il film ha avuto qualche difficoltà.
«Rebecca Behar, figlia del proprietario dell'hotel in questione, ha chiesto modifiche alla trama, che con profondo rispetto ho accettato. Salvo una».
Quale?
«Le pareva che la detenzione degli ebrei fosse rappresentata in modo troppo permissivo».
Perché?
«I tedeschi lasciavano uscire alcuni prigionieri, avendone però i parenti in ostaggio. Crudele gioco del gatto col topo».
La signora Behar come è scampata?
«Perché cittadina turca, dunque neutrale».
Altri cambi al film in corso d'opera?
«La scena dove i tedeschi pranzavano con le vittime.

Evento reale che poteva apparire in una luce irreale».
Interpreti principali?
«È un film con personaggi giovani e meno giovani dove tutti gli attori sono professionisti: formano un coro e saranno una rivelazione collettiva».

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