
Quando si parla di movimenti religiosi criminali in Italia, o di sette se si vuole usare un termine improprio, mutuato dall’anglofono “cult”, una delle vicende più emblematiche giunge dalla Calabria, ovvero dal piccolo borgo di San Pietro di Amantea, dove si è consumata la parabola giudiziaria del “Gruppo del Rosario”.
“Quella del ‘Gruppo del Rosario’ è stata la più vasta esperienza di setta criminale in Italia. Altre vicende, come le Bestie di Satana, sono più note per via del numero di omicidi, ma i membri non avevano nulla a che fare con il satanismo se non per il medium del gruppo. Nel ‘Gruppo del Rosario’ si conta solo un morto: l’omicidio di Pietro Latella”. A parlare a IlGiornale è lo psicologo Sergio Caruso, membro dell’associazione Manisco World, che si occupa di contrasto alle psicosette.
La scoperta della setta
È la notte tra il 25 e il 26 maggio 1988. All’ospedale di Cosenza arriva un uomo ferito di striscio da un colpo di pistola: si chiama Lorenzo Tommasicchio e dice di essere stato rapinato. Ma le domande delle forze dell’ordine sul posto sono tante e alla fine Tommasicchio racconta qualcos’altro: c’è un gruppo di preghiera a San Pietro di Amantea, in una masseria di Contrada Moschicella adiacente a una grotta, lì sarebbe stato ferito.
Le forze dell’ordine si recano sul posto e sulle prime sono quasi in difficoltà: ci vedono solo un gruppo di preghiera con poco più di una trentina di persone sudate e scalze che si tengono per mano, mentre in una stanzetta la giovane “santona” in veste bianca, Lidia Naccarato, è su un lettino in estasi, risvegliata solo dai militari. Sono esposti un quadro della Madonna, un ritratto dello zio di Naccarato - il fondatore della setta - e un ritaglio di giornale che riporta la notizia del rapimento di Marco Fiora, un bambino di 7 anni.
I militari stanno quasi per andarsene, quando notano qualcosa di insolito: uno stanzino sigillato. Rompono i sigilli e all’interno trovano un corpo incaprettato e crivellato da colpi di pistola. Verrà fuori che si tratta di un adepto, Pietro Latella, ucciso da 12 proiettili esplosi da non meno di 3 persone, forse murato mentre era agonizzante, ancora vivo. L’uomo, emergerà a processo, era stato sacrificato perché avrebbe incarnato il Maligno, e il suo omicidio sarebbe stato funzionale alla resurrezione del capo carismatico fondatore della setta. Non solo: le forze dell’ordine trovano un arsenale con pistole, fucili, munizioni e quasi un miliardo di lire in contanti, assegni e depositi postali.
La fondazione e l’“eredità”
Come racconta CalabriaNews24, il “Gruppo del Rosario” è stato fondato nel 1972 da Antonio Naccarato, un ambulante di scarpe di origini calabresi che aveva vissuto a Torino. All’interno del culto, che mescolava tradizioni popolari a elementi del cattolicesimo, l’uomo affermava di essere un profeta e di avere poteri taumaturgici, promettendo una seconda resurrezione di Cristo e altri miracoli.
“Secondo la dottrina della setta, i membri erano i prescelti da Dio per salvare il mondo dall’Apocalisse imminente. Avevano mutuato alcuni aspetti del cristianesimo, tuttavia a livello crimino-dinamico c’erano altri aspetti rilevanti: i rapporti sessuali promiscui, un deposito di armi e denaro che gli adepti sarebbero stati costretti a versare, e soprattutto un movimento enorme di persone. Antonio Naccarato sosteneva si essere la reincarnazione di san Pietro, la nipote Lidia della Madonna. Poi c’erano gli altri, in ordine piramidale, dai prescelti e prescelte alle ancelle. La promessa non era solo la resurrezione dalla morte, ma anche la guarigione dalle malattie, al fine di fondare una nuova Lourdes in territorio calabrese”.
Antonio Naccarato muore nel 1983 e a succedergli è la nipote Lidia, laureata in biologia, e anche lei a lungo residente a Torino, per poi tornare a San Piero di Amantea. Anche lei prometteva miracoli, tra cui la resurrezione dello zio, con cui avrebbe avuto conversazioni quotidiane, e un filo diretto di comunicazione con la Madonna. Al momento dell’irruzione delle forze dell’ordine la setta contava oltre mille adepti, dei quali 800 nella sola Torino. “Secondo le indagini della procura di Paola, c’era un asse tra Torino, città esoterica per eccellenza, Pagani in provincia di Salerno e San Pietro in Amantea”. A capo della procura di Paola c’era all’epoca Luigi Belvedere, che definì la setta, come riporta un articolo di Repubblica dell’epoca, “un’organizzazione criminale”.
Azioni e responsabilità
Per gli inquirenti non è stato facile investigare sulla vicenda, dato che si erano aperte davanti a loro diverse piste. Per esempio: cosa c’entrava l’articolo su Marco Fiora? La setta era coinvolta nel rapimento? La risposta è: no, non è stato mai provato alcun coinvolgimento.
Si è pensato anche a connessioni con la ‘ndrangheta locale, tuttavia non solo non è stata dimostrata connessione, ma soprattutto non è verosimile che le organizzazioni criminali abbiano avuto un coinvolgimento, se non nella presunta vendita di armi e munizioni. “Non si muove foglia che la ‘ndrangheta non voglia: quindi è plausibile che qualcuno abbia chiesto parere o permesso per il movimento o l’approvvigionamento di armi. Tuttavia è inverosimile che la ‘ndrangheta abbia avuto rapporti diretti con la setta: più che esserne a conoscenza o vendere armi non credo sia accaduto”.
Di questa vicenda esistono poche, pochissime tracce sul web, tranne qualche retaggio da quotidiani d’epoca. Come se parlare della vicenda giudiziaria fosse un tabù. “All’inizio della carriera entrai con una troupe giornalistica in paese. Non lo dimenticherò mai: una donna mi disse che Lidia Naccarato era una santa e questa era una terra benedetta da Dio, che gli adoratori del diavolo hanno tentato di fermarli ma non vinceranno la battaglia. Quando c’erano le messe di guarigione giungevano qui 15-20 autobus da tutta Italia”.
Un capitolo chiuso?
Le accuse piovute sul capo dei membri della setta in tribunale sono state concorso morale e materiale in omicidio e tentato omicidio. Il processo penale, di tipo inquisitorio, è iniziato poco dopo l’arresto e si è svolto nel tribunale di Cosenza, come riporta il podcast “Sette” della criminologa Chiara Penna.
Lidia Naccarato, in aula, scrive su un foglio il nome degli esecutori materiali dell’omicidio Latella, i quali si consegnano, con grande sorpresa degli astanti, alle forze dell’ordine. Ai rinviati a giudizio viene fatta la perizia psichiatrica: sono tutti capaci di intendere e di volere, tutti vengono considerati non pericolosi socialmente ma sotto l’influenza della “santona”, un’influenza legata a fede e misticismo. Vengono processati in 35, ovvero i presenti al momento dell’irruzione delle forze dell’ordine nella masseria, Lidia Naccarato compresa.
Alla fine del processo quest’ultima viene condannata, insieme con una sparuta rappresentanza del gruppo, un numero più piccolo delle dita di una mano: solo 3 adepti. Non si conoscono però ulteriori dettagli. “Si dice che successivamente Lidia Naccarato sia tornata a Torino, ma non si sa nulla ormai di lei”.
Si dice anche che ci siano state riunioni di preghiera fino al 2010. Successivamente, nella zona di San Pietro di Amantea, nel 2019, sono stati trovati dei resti di presunti riti, tra cui una gallina sgozzata. Difficile immaginare che questo abbia avuto a che fare con la setta dei Naccarato, anche se più di qualcuno sulla stampa ha pensato potesse essere plausibile.
“Penso sia possibile che quei resti siano relativi a un rito di migranti, persone che vengono da nuove culture come l’Africa o il Sudamerica, in cui esistono fenomeni di sgozzamento rituale di animali. Non c’entra nulla con il ‘Gruppo del Rosario’, il collegamento è stato solo psicosi”, conclude Caruso.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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