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La lobby che ostacola l’inchiesta sulla mitraglietta che uccise Moro

Inchiesta sul caso Moro e sulla permanenza di terroristi italiani nella Repubblica Ceca (ex Cecoslovacchia): è da tre anni che gli investigatori della Polizia criminale di Praga stanno attendendo risposte dai colleghi italiani. Da quando, mezzo Interpol, la rogatoria internazionale è partita, non si sa più nulla. Non è dato neppure sapere in quale cassetto di quale ufficio giace la richiesta. A oggi l’unica cosa certa è che nessuno ha risposto.
L’argomento dell’inchiesta partita da Praga è di quelli che scottano: l’Ufficio per la documentazione e le indagini dei crimini del comunismo sta indagando sull’omicidio di Aldo Moro, ma non solo. Due sembrano essere i filoni dell’inchiesta che riguardano l’Italia. L’arma utilizzata per ammazzare il presidente della Democrazia Cristiana, una pistola mitragliatrice Skorpion costruita in Cecoslovacchia in una fabbrica a pochi chilometri da Brno, e i campi d’addestramento dove alcuni membri delle Brigate rosse si sarebbero addestrati negli anni Settanta.
Partiamo dalla mitraglietta Skorpion Vz61. È una pistola mitragliatrice con un’altissima capacità di tiro, provvista di calcio pieghevole, maneggevole e quindi facilmente trasportabile. L’arma è stata utilizzata il 9 maggio 1978 per crivellare il corpo di Aldo Moro. Non solo. Lo stesso modello d’arma è stato utilizzato dagli uomini delle Brigate rosse per uccidere il senatore democristiano Roberto Ruffilli. Sempre una Skorpion è stata usata sia per ammazzare l’ex sindaco di Firenze Lando Conti che l’economista Ezio Tarantelli. Anche il terrorista Ilich Ramirez Sanchez («Carlos») poteva contare sull’affidabilità dell’arma prodotta in Cecoslovacchia. Insomma, è evidente che il filone investigativo della produzione e distribuzione d’armi ai terroristi è molto interessante.
L’altro argomento scomodo di cui l’Urad («Úrad dokumentace a vyšetrování zlocinu komunismu» - Ufficio per la documentazione e le indagini dei crimini del comunismo, creato nel 1995 per decisione del ministro dell’Interno cecoslovacco) si sta occupando è la possibilità che un gruppo di brigatisti rossi sia stato addestrato nel campo d’addestramento di Karlovy Vary. Ma non è la prima volta che dagli uffici di Praga parte una richiesta d’investigazione diretta all’Italia: era stata richiesta documentazione riguardante l’attentato di cui fu vittima nel 1975 l’esule e dissidente cecoslovacco, promotore della «Primavera di Praga», Jiri Pelikan. L’informativa e la richiesta tornarono al mittente con un cordiale il «reato è prescritto», ovvero: tenetevi le vostre carte. Un vero peccato perché oggi che gli archivi incominciano a rivelare nomi d’informatori o collaboratori, di cui alcuni al di sopra di ogni sospetto, sapere quali connessioni vi sono state durante gli anni del terrorismo tra Italia e Cecoslovacchia sarebbe stato sicuramente molto interessante. Ma sicuramente anche scomodo. Ed è proprio questo il nocciolo della questione: i segreti dell’Ovest sono custoditi negli archivi dei Paesi dell’Est. Ed è quindi comprensibile che in Italia molti abbiano interesse a zittire o far tenere un basso profilo: verità consolidate non vanno messe in discussione.

Non dimentichiamo che a Praga le richieste sono formulate dall’ufficio che indaga sui crimini del comunismo, ufficio evidentemente scomodo.

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