Guido Mattioni
nostro inviato a Lodi
No, non è di certo una notizia che ieri la nebbia sia scesa fitta fitta su Lodi. Succede, in quest’angolo di Lombardia così legato al latte da arrivare a tingerci anche il cielo. Succede, specie in questo periodo dell’anno. Ma è quantomeno una coincidenza che il candido batuffolo di vapor acqueo sia arrivato così tempestivamente, giusto in tempo per nascondere il rossore, il disagio e l’imbarazzo di una città di gente perbene.
«Almeno il Vallanzasca, per rubare in banca, rischiava del suo», sbraita in piazza della Vittoria quello che si definisce «il solito pensionato incavolato». Ma che stavolta ha insolite (e sacrosante) ragioni da vendere se troveranno conferma le accuse al vertice della Banca popolare italiana. Accuse che parlano di una prassi di prelievi in dosi omeopatiche, quindi quasi invisibili, dalle tasche dei tanti correntisti ignoti; da trasferire poi, in dosi ben più accattivanti, in quelle dei pochi soliti noti. Gli amici, insomma.
«Così ora la gente si sente tradita, tanto tradita che di più non si può», sintetizza Ferruccio Pallavera, direttore del Cittadino, il quotidiano locale di proprietà della Curia, traducendo il sentimento dei suoi lettori all’indomani dell’arresto di Gianpiero Fiorani, il non più amministratore delegato della Bpi, l’ex Popolare di Lodi.
Ed è proprio in quella parolina corta corta - «ex» - il germe dell’odierno disagio di chi, per un po’, aveva anche condiviso il sogno di poter contare su una grande banca. Ma quell’attributo «italiana», cancellando d’un colpo 140 anni di storia lodigiana, è stato forse il primo errore. Figlio di quello che Pallavera definisce «il delirio di onnipotenza» dell’ex enfant prodige di Codogno. E da quel giorno, assicura la vulgata raccolta sotto i portici, la città ha iniziato a vivere la banca come estranea. Come un mostro mosso da un insaziabile «appetito padano», a ben guardare molto simile, fatte le dovute proporzioni, a quella voracità da cui scaturì il crac Parmalat.
«La Popolare ha cominciato ad avere problemi quando è arrivata a livello nazionale, quando qualcuno si è lanciato in territori strani e inesplorati», conferma Antonio Palermo, presidente della locale Confartigianato. Che aggiunge: «Il caso Lodi è soltanto la punta dell’iceberg bancario, perché questo è uno strano Paese dove un piccolo imprenditore del Nord deve dare in garanzia 20 per avere in prestito 10; e se poi è del Sud il prestito addirittura se lo sogna. Questo mentre ai pochi soliti noti viene sempre concesso credito illimitato».
Quanto alla politica e alle istituzioni, il clangore delle manette scattate ai polsi di Fiorani & company si traduce in frasi imbarazzate e di circostanza. «La magistratura farà il suo lavoro e non possiamo entrare nel merito dell’inchiesta che non conosciamo», dice con parole del tutto prevedibili Lino Osvaldo Felissari, presidente ds della Provincia, confessando «profondo sconcerto perché si stanno apprendendo scenari inquietanti» ed esprimendo preoccupazione soprattutto «per la sorte dell’istituto» e per i «tanti dipendenti angosciati».
Un futuro, quello della banca e di chi ci lavora (sono quasi 2mila i dipendenti locali sugli 8.500 dell’intero gruppo Bpi), che allarma comprensibilmente anche il sindaco, Lorenzo Guerini (Margherita). Il quale respinge sdegnato, a nome dei suoi 42mila amministrati, l’offensiva etichetta di «furbettopoli» appiccicata da qualcuno alla città. E pur riconoscendo che lui come tutti aveva guardato anche con orgoglio «a un progetto che era ambizioso e importante», ammette di aver vissuto gli arresti di martedì notte «come un forte pugno nello stomaco» della collettività.
Sarà, ma a sentire loro, i lodigiani, di pugni da Fiorani ne avevano già ricevuti anche prima.
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