Lodo Alfano, ecco i motivi del no della Consulta

La Corte Costituzionale deposita la sentenza. Il lodo Alfano è stato considerato come una vera e propria "prerogativa". Un giudice: "Principio da Rivoluzione francese". E' caduto ogni riferimento ai parlamentari. Le cariche paragonate al popolo

Lodo Alfano, ecco i motivi del no della Consulta

Roma - Il Lodo Alfano era una vera e propria «prerogativa» delle massime cariche, non una semplice sospensione dei processi, come tale andava bocciato perché senza una legge costituzionale non si può distinguere nessuno di fronte alle legge, che sia Capo dello Stato o premier, dal semplice cittadino.

È quello che in gergo chiamano «il sillogismo del giudice»: il ragionamento, cioè, che ha portato il 7 ottobre la Corte costituzionale a dichiarare illegittimo lo scudo processuale per le quattro massime cariche dello Stato. Come siano arrivati alla bocciatura emerge dalla motivazione della sentenza, scritta dal relatore Franco Gallo, esaminata ieri pomeriggio in camera di consiglio alla Consulta e depositata in serata.

Il documento è molto atteso, soprattutto perché deve spiegare in base a che cosa l’Alta Corte ha cambiato radicalmente giurisprudenza a così breve scadenza: nel 2004 cancellò sì il Lodo Schifani, ma senza parlare di immunità e indicare la necessità di una legge costituzionale, come ha fatto stavolta.

Qual è stato, dunque, il ragionamento per ancorare la violazione dell’articolo 3 della Costituzione, sull’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, a quello 138 sulle regole per modificare la Carta? In pratica, si allarga la platea con la quale paragonare presidente della Repubblica, premier e due vertici delle Camere. Se nel 2004 si è badato all’omogeneità dei beneficiari (e infatti poi fu escluso il presidente della Consulta), confrontandoli con ministri e parlamentari, ora i quattro vengono posti sullo stesso piano di tutti i cittadini e si dice che per un «trattamento privilegiato» si deve intervenire sulla Costituzione. «Un principio di uguaglianza e parità quasi da Rivoluzione francese», commenta un giudice costituzionale in minoranza. Inquilini di Quirinale, Palazzo Chigi, Montecitorio e Palazzo Madama come l’ultimo italiano.

E poi c’è quel riferimento alla sentenza Previti del 2005 sul «legittimo impedimento» del parlamentare imputato. Tra i 15 giudici costituzionali qualcuno si è sorpreso quando la scorsa settimana è uscita l’indiscrezione che questo riferimento fosse addirittura alla base della decisione dell’Alta Corte, visto che nella camera di consiglio del 7 novembre in realtà se n’era fatto appena un accenno. Ma serve oggi a rispondere ai legali di Silvio Berlusconi, secondo i quali senza il Lodo il premier non si può difendere adeguatamente nei suoi processi, com’è suo diritto, senza subire danni nel suo ruolo di premier. La Consulta replica che c’è già uno strumento, il «legittimo impedimento» riconosciuto da quella sentenza. In base a questo principio Berlusconi può concordare con i suoi giudici il calendario delle udienze, perché non confliggano con gli impegni istituzionali. Così, si contemperano due diritti costituzionali: quello alla difesa dell’imputato e quello al «sereno svolgimento» degli incarichi istituzionali. Si giustifica la necessità di una legge costituzionale, negando contraddizioni con il 2004 e citando anche una sentenza che ai profani sembra pesare per la tesi avversa: quella dell’83, sulla legge ordinaria che riconosce l’immunità ai membri del Csm per voti e opinioni espressi durante le loro funzioni. «Certe frasi, estrapolate dal contesto che porta a conclusioni opposte, vengono utilizzate per sostenere che solo con l’iter costituzionale si può derogare all’articolo 3. L’ottica è rovesciata e con un ragionamento tortuoso si giustifica il cambiamento di giurisprudenza rispetto al 2004», spiega sempre un giudice costituzionale.

Si ha l’impressione che la motivazione sia

il risultato di un confronto precedente tra i giudici contrari al Lodo. In camera di consiglio le obiezioni di quelli in minoranza vengono respinte in blocco. E sul testo, alla fine, si sposta poco più di qualche virgola.

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