E poi si capisce che hanno bocciato quello di Alfano. Il Pd, il suo Lodo ce lha già. Non è scritto nel codice etico del partito, e proprio per questo funziona. Basta restare al proprio posto sempre e comunque, finché condanna non imponga labbandono. Ma a volte neppure in quel caso.
Lultimo paradosso è quello di Piero Marrazzo, il governatore del Lazio rimasto imbrigliato in un brutto affaire mediatico-giudiziario fra trans e cocaina. «La legge lo costringe a restare consigliere regionale e quindi a percepire lo stipendio fino alla proclamazione del nuovo presidente» ha spiegato il suo legale Luca Petrucci al Giornale che aveva denunciato la beffa dopo il danno. Per non approfittarne, Marrazzo devolve 7mila euro dellindennità in beneficenza, giura lavvocato, che però non dice dove finiscano i 70mila euro allanno in arrivo dalla Fondazione Policlinico di Tor Vergata, che Marrazzo presiede proprio in qualità di governatore. Parrebbe un caso da azzeccagarbugli, la verità è che a Marrazzo basterebbe mettere per iscritto due semplici parole chiave: mi dimetto. Solo che poi gli «toccherebbe» tornare in Rai, e andateci voi a mettere la faccia sullo schermo con un contratto che «costringe», anche lì, ad assumere un «ruolo non inferiore a quello di conduttore». Obbligo per obbligo, tanto vale restare in Regione, tanto sempre di soldi pubblici si tratta.
A rileggerla, la coda della vicenda laziale, scatta un déjà vu. Agli abruzzesi ha fatto tornare in mente il terremoto, non quello vero, per fortuna, ma quello giudiziario che scosse la giunta regionale di Ottaviano del Turco e subito dopo quella comunale di Luciano DAlfonso. Ecco, che fine ha fatto lex sindaco di Pescara? Indagato per corruzione, abuso dufficio e illecito finanziamento ai partiti in una maxi inchiesta su urbanistica e tangenti, dopo essersi solennemente dimesso ci aveva ripensato, presentando un certificato medico che ne attestava «una patologia ingravescente permanente». Il centrodestra gridò allescamotage per evitare il ritorno alle urne, il Pd invece parlò di «gesto nobile per garantire la continuità amministrativa». Adesso che il voto ha consegnato la città al Pdl e che DAlfonso ha terminato il suo periodo di riflessione in convento (la stessa pausa mistica promette di prenderla Marrazzo), in attesa del processo lex sindaco è tornato in campo. Lavora allAnas di Campobasso, dove si occupa delle convenzioni con gli enti locali, e vabbè. Soprattutto, cerca di uscire dal confino passando il confine, e infatti sta lavorando assiduamente, fra conferenze pubbliche e incontri riservati, per candidarsi alla presidenza del Molise, sostenuto da buona parte del partito allurlo di: «Non possiamo perdere una personalità del suo calibro».
Che basti cambiare aria del resto non è una novità, nel Pd. Chi si ricorda di Stefano Francesca, portavoce prima dellallora sindaco di Pavia Piera Capitelli e poi dellattuale sindaco di Genova Marta Vincenzi? Era il 2007 quando, in Lombardia, Francesca finì nel mirino dellopposizione e della magistratura per una parcella che parve un po troppo generosa incassata dalla sua società, la «Warm&Co», che aveva organizzato il Festival dei Saperi e per il quale il Comune aveva sborsato un milione e 250mila euro. Il sindaco lo scaricò immediatamente, liquidandolo con una letteraccia nella quale annotava «inadempienze, anche sostanziali» nella sua attività. Sbarcato a Genova a fare il braccio destro della Vincenzi, Francesca è finito in manette per un pasticciaccio brutto di tangenti che ancora deve concludersi, allontanato dal sindaco con un: «Mi sento tradita», ma non dal partito, col quale continua a collaborare.
Ma se i genovesi hanno avuto almeno la buona creanza di non affidargli incarichi pubblici, a fare scuola sono i calabresi. Di indagati al loro posto ce nè un po, laggiù, ma su tutti spicca Vincenzo Sculco, il condannato. Lo chiamano «Sua Preferenza» per quei 7209 voti che dalla vicepresidenza della Provincia di Crotone lo hanno portato in consiglio regionale. Sculco è stato condannato nel 2007 a sette anni di reclusione per frode in pubbliche forniture, truffa, falso ideologico, turbata libertà degli incanti, corruzione e concussione con interdizione perpetua dai pubblici uffici. Solo che qui la «perpetua» è al massimo quella di Don Abbondio. Perché un anno e mezzo dopo, era lagosto del 2008, Sculco era già di nuovo al suo posto. Lo dice la legge, la numero 15 del 1990, che linterdizione cessa dopo 18 mesi in attesa dellAppello. E la legge va rispettata, che ci volete fare. E che importano letica e la questione morale.
Su Facebook, per dire, da mesi un folto gruppo che chiede al senatore Alberto Tedesco di uscire dal Pd, se proprio non può mollare lo scranno. Lex assessore alla Sanità della Regione Puglia si era dimesso a febbraio, dopo liscrizione nel registro degli indagati per uninchiesta su presunte tangenti della Direzione distrettuale antimafia.
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