Lola, Giò di Tonno e la voglia di farcela

I due vincitori del Festival ai raggi x: lei argentina e figlia d’arte dal fisico minuto, lui abruzzese e passionale

Lola, Giò di Tonno 
e la voglia di farcela

Sanremo - Per capirli, questi due che hanno vinto a sorpresa il festival di Sanremo, bastava osservarli l’altra notte al tavolo della esangue conferenza stampa finale all’Ariston. Lei, Lola Ponce, lucida e tagliente. Lui, Giovanni Di Tonno detto Giò, infiammabile e balbettante, troppo offeso da una domanda del cronista per riuscire a rispondere a tono. «Lascia perdere Giò, godiamoci il momento».

Secondo Padoa-Schioppa, lui sarebbe un bamboccione di 35 anni che sgavetta da 15 avendo accumulato molta fatica, un po’ di gloria ma forse meno di quello che serve a pagarsi serenamente l’affitto. Lei che ha 26 anni, l’avesse scritta Salgari, sarebbe la perla di Labuan, Picasso ne avrebbe esaltato gli zigomi e Tinto Brass qualcos’altro e forse Aristotele Onassis sarebbe impazzito perché l’arghentina Lola Ponce, figlia del famoso cantante Hector e nipote del famosissimo Osvaldo che suonava con Astor Piazzolla e Carlos Gardel, ha quel fisico minuto e aggressivo che ricorda Jackie ma lo supera in armonia. Tanto lei il suo Onassis ce l’ha già, Manuele Malenotti, che dopo la vittoria le ha chiesto di sposarlo. Ma a unirla a Giò non è stato un Colpo di fulmine ma più prosaicamente Riccardo Cocciante che li ha scelti sei anni fa per Notre dame de Paris dove hanno funzionato per cinquecento repliche e chissà quanti spettatori, in un colossale turbinio di successo e di quello che Jerry Lewis chiama «lo swing», cioè la consapevolezza di avere una marcia in più. Lei Esmeralda, bellissima che balla leggiadramente, trovata per caso a un casting in Spagna dove era arrivata per promuovere il suo primo cd Inalcanzable. Lui Quasimodo, il gobbo innamorato, paradigma dell’amore infelice e destinato alla tragedia, quella che ha il sapore apocalittico e irrimediabile. Perciò a ritrovarsi sul palco di Sanremo per loro è stata quasi una passeggiata, tanto neppure erano truccati, niente copione, niente passi da mandare a memoria e a fiato.

Qualche mese fa Gianna Nannini, che s’è aggiudicata Lola Ponce per l’opera rock prossima ventura Pia de’ Tolomei, aveva consegnato a David Zard e altri un brano fatto apposta per il festival, roba da colpo di fulmine appunto. «Ho subito detto: portiamolo a Sanremo» dice lei, Lola. «Siamo rimasti stregati», dice lui. Anche Baudo ci ha messo lo zampino e tutto ha funzionato come nei migliori happy end: all’inizio pochi ci credevano perché chi sono questi due di fianco a Tiromancino, Grignani o Frankie Hi-Nrg, in fondo cantano un brano bello melodico, roba da melodramma ma ormai siamo nel 2008, quella è roba del passato. Ma il festival è un rito cristallizzato: vince quasi sempre la coazione a ripetere, il baudismo coatto nel senso di costretto all’immobilità. E così anche oggi Pasolini scriverebbe che «Il festival di Sanremo e le sue canzonette sono qualcosa che deturpano irrimediabilmente una società» e anche oggi vince un brano come questo che sarà pur bello ma non è il trionfo della novità, è arzigogolato, barocco e strepitoso ma suvvia rimane tra le righe dello spartito.

E ancora meglio riuscita è l’operazione Lola Ponce e Giò Di Tonno, una specie di joint venture che mescola sano opportunismo e ancor più sana voglia di farcela.


In poche parole hanno inciso un altro duetto intitolato Come stai che stanno per pubblicare in due cd separatamente (Il diario di Lola e Santa Fè) e separatamente partiranno in tournée ritrovandosi su qualche palco in giro per l’Italia per celebrare un colpo di fulmine che ha vinto un festival e iniziato (forse) una festa.

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