Raccontano gli operai che ogni sera, quando scendono dalle impalcature, ci sono una, due, tre persone che li aspettano sulla strada. Li fermano qualche minuto, prima di lasciarli andare dalle loro mogli, per chiedere quando potranno tornare a vivere là dentro. Spiegano gli operai che dell’adrenalina dello scoppio, della speranza degli ultimi tempi, ora su quei volti c’è solo la disperazione. Di chi ha passato trenta mesi fuori casa e da trenta mesi aspetta di poter riprendersi quel pezzo di vita ancora sotto le macerie. Benvenuti in via Lomellina 7, nell’edificio sventrato dall’esplosione per una fuga di gas il 18 settembre 2006 che causò la morte di quattro persone. Dove 34 famiglie, sfollate da quel maledetto lunedì di fine estate e sistemate negli alloggi del Comune in piazzale Dateo con un affitto calmierato, stanno ancora aspettando di tornare a casa. Benvenuti in quel che rimane di una palazzina liberty, uno scheletro a cielo aperto «immorsato» dai ponteggi sui quali però i lavori di ricostruzione iniziati a luglio 2008 si sono già fermati.
«Mancano i soldi promessi dalle assicurazioni - spiega l’ingegner Alessandro Truscello, progettista e direttore dei piano di risanamento conservativo dell’edificio -. Dovrebbero darci circa due milioni di euro. E invece, in due anni e mezzo, hanno versato soltanto un acconto di 400mila euro». Pari al 20% del totale, quando la clausola contrattuale dà diritto ad avere il 50% del danno. E non si tratta di dare colpe o responsabilità, ripete l’ingegnere: «Stanno affinando i conteggi per arrivare all’indennizzo. Ma che si mettano una mano sulla coscienza e pensino che ci sono 34 famiglie che stanno aspettando». Ancora, dopo novecento giorni. Che stanno pagando un affitto per la sistemazione provvisoria e che continueranno a pagare per ogni ritardo sulla tabella di marcia. «Ad alcuni di noi, avevano detto che saremmo entrati a dicembre 2008 e invece la data è slittata di nuovo - racconta Pino Tucci del Comitato di Solidarietà di via Lomellina -. Ma è la testa ora che sta andando. Se tutto va bene, forse due o tre rientreranno a Pasqua». Già, due o tre, se tutto va bene, i più fortunati. Quelli della Scala B che hanno avuto i danni minori, ma per gli altri dodici inquilini a cui va ricostruito completamente l’appartamento, il rientro rischia di slittare molto più in là. «Era previsto a fine 2009 - continua Truscello -. Ormai si parla del 2010. Io posso anche correre con i lavori, ma sempre per un milione e mezzo di euro devo costruire».
Tra gli «sfollati», c’è anche un’altra categoria. Quelli a cui le assicurazioni - sei o sette compagnie in totale - hanno riconosciuto il danno da scoppio solo per le canne fumarie, e il resto invece l’hanno classificato come «vetustà». In sostanza, la ricostruzione o rifacimenti di qualsiasi altra parte dell’alloggio, rimangono a carico dei proprietari. Come nel caso della signora Lia, dove ci vorrebbero 40mila euro per mettere a posto e renderlo agibile. «E chi li ha? - spiega -. Sono sola e vedova. L’ingegnere dice che vanno rifatte le solette del pavimento. Ma se l’assicurazione non mi riconosce come danneggiata, devo pagare tutto io». Lei, come altri, non ha nemmeno fatto in tempo a portare via le sue cose quella sera e le ha lasciate lì dov’erano e poi, adesso a due anni e mezzo di distanza, dice Lia, «dove vuole che li metta? Devo spendere anche i soldi per un box?».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.