A Londra manager in pullover per sfuggire all’ira anti-banche

nostro inviato a Londra

Le e-mail erano comparse sugli schermi dei computer prima che la City londinese chiudesse per lo scorso weekend. Così è stato. Ieri, chiunque si fosse avventurato in quello che fino a qualche tempo fa era il miglio quadrato più ricco e invidiato del mondo, avrebbe stentato a riconoscere la fauna del luogo. Nessuna giacca, nessuna cravatta, nessuna camicia bianca inamidata in giro. In compenso, abbondavano i pullover scuri «alla Marchionne». Tutta la City ieri era, dopo decenni di «overdressing» e non soltanto per quanto riguarda i vestiti.
Le strade della City dai nomi storici - Lombard streeet, la via dove i banchieri lombardi aprirono molti secoli fa la loro attività di prestito e cambiavalute, Gresham street, dal nome di Sir Thomas Gresham, che nella seconda metà del Cinquecento fu banchiere e consigliere economico di re Edoardo VIII, ed enunciò la legge, detta appunto di Gresham, per la quale «la moneta cattiva scaccia quella buona», le strade, dicevamo, sarebbero state semivuote se non fossero state occupate da qualche migliaio di manifestanti vocianti, furibondi con i banchieri che per avidità hanno provocato la crisi finanziaria e, di conseguenza, la crisi economica e la perdita di decine di migliaia di posti di lavoro. «Damned bankers», maledetti banchieri. «Regulate casino capitalism», regolamentate il capitalismo da casinò.
La rabbia della folla si è sfogata contro gli uffici, fortunatamente vuoti, della Royal Bank of Scotland, il colosso salvato in extremis dalla bancarotta con i denari del Tesoro, cioè del contribuente britannico. Alcune vetrate sono state distrutte, i muri sono stati imbrattati di scritte, il contribuente britannico pagherà anche per l'imbianchino e il vetraio. A poche decine di metri di distanza, raccontano, il governatore della Bank of England Mervyn King continuava a lavorare «serenamente», con britannico understatement, nel suo ufficio. Non molti altri, tuttavia, si trovavano nella stessa situazione: a detta dei frequentatori abituali della City, ieri c'era davvero pochissima gente in giro. Poca gente per la strada, poca gente in metropolitana. Molti executive e impiegati della City, anziché optare per la «strategia del maglione» suggerita dalle e-mail aziendali e dalla polizia, hanno preferito semplicemente restare a casa. Numerosi i negozi chiusi. Le vetrine vuote e le porte sbarrate di un negozio Gucci vicino alla Banca d'Inghilterra erano eloquenti assai più delle parole.
Non sono mancati alcuni episodi di «resistenza civile» da parte di qualche orgoglioso funzionario di banca. Le telecamere della tv britannica Sky News ne hanno immortalato uno che, vestito di nero con camicia bianca, cravatta scura e - c'è da non credersi ma è vero - con la bombetta in testa e l'ombrello in mano nonostante la giornata radiosa per gli standard climatici londinesi, si dirigeva sicuro verso il corteo dei manifestanti. Non una parola, ma cipiglio e passo sicuro, quasi fosse un sottufficiale delle guardie della Regina, ha sfiorato la folla vociante senza che gli accadesse nulla. Un altro funzionario, più giovane, non ha voluto rinunciare alla cravatta d'ordinanza. «Credo nel capitalismo - ha confessato davanti ai giornalisti che l'assediavano, quasi fosse una bestia rara - e voglio testimoniarlo. Non c'è sistema economico migliore del capitalismo, così come non c'è sistema migliore della democrazia ha aggiunto churchillianamente: e senza mercato, non c'è democrazia». Al contrario del giovane perseverante, un banchiere di nome Louis Greco mormorava sconsolato: «Sono un banchiere in incognito», con evidente rimpianto per il gessato o la grisaglia d'ordinanza.

E soprattutto rimpianto per i ricchi bonus e i premi grazie ai quali gli executive bancari comperavano abitazioni prestigiose, barche e auto di lusso. I politici hanno deciso che i banchieri devono pagare il fio delle loro colpe. Hanno trovato, anche stavolta, gli «untori».

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