Londra sbarra le porte ai rumeni e ai bulgari

Confermata la linea dura sull’immigrazione dai due Paesi che entreranno nell’Ue nel 2007: selezione in base alle qualifiche professionali

Lorenzo Amuso

da Londra

Come annunciato da tempo il governo britannico, operando «una drastica conversione ad U», ha ufficialmente archiviato la politica delle «porte aperte», riprendendosi il controllo sull’immigrazione, oggetto in un prossimo futuro di forti restrizioni. A farne le spese per primi gli immigrati bulgari e rumeni che - dopo l’ingresso delle loro nazioni nell’Unione europea previsto nel gennaio 2007 - decideranno di entrare nel Regno Unito. Per loro è stato predisposto un «regime di punti» in base alle qualifiche personali, mentre i meno specializzati potranno lavorare esclusivamente nel settore agroalimentare. Un duro giro di vite che contrasta palesemente con il trattamento riservato ai cittadini dei più recenti Stati membri dell’Ue, ai quali solo due anni fa il Regno Unito aveva garantito un accesso illimitato.
L’esecutivo laburista è stato costretto a cambiare rotta dopo la marea di critiche e proteste seguite a quella che è stata definita «l’invasione polacca». Secondo un recente sondaggio condotto dal Financial Times la percezione diffusa tra l’opinione pubblica inglese è che siano arrivati troppi lavoratori stranieri, soprattutto dalla Polonia.
Tutta colpa delle «porte aperte», denuncia il 79 per cento del campione, persuaso che l’immigrazione sia ormai fuori controllo. Una crescente preoccupazione che si riflette anche nella richiesta, espressa dal 40 per cento, di garantire l’ingresso in Gran Bretagna esclusivamente agli immigrati dotati di particolari capacità o specializzazioni. Di fronte ad un’inquietudine così diffusa, è dunque prevalsa la linea scozzese promossa dal ministro degli Interni John Reid, e appoggiata dal duo Tony Blair-Gordon Brown. Vani i tentativi in extremis per una soluzione più morbida del ministro degli Esteri Margaret Beckett, costretta ad accontentarsi delle promesse di Reid, che ha parlato di misure «transitorie». Dal prossimo anno, nel frattempo, i lavoratori rumeni e bulgari privi di titoli di studio potranno essere impiegati solo nei settori agricolo e della catena produttiva alimentare, mentre quelli in possesso di un titolo di studio (e di specifiche esperienze lavorative) verranno selezionati attraverso un nuovo criterio selettivo di quote. Uno schema simile a quello già in uso per chi arriva da fuori Europa.
Negli ultimi due anni in Gran Bretagna sono stati circa 600mila i nuovi arrivi dai dieci Paesi dell’Est-Europa membri dell’Ue dal 2004. Un numero enormemente superiore alle previsioni del governo, che si attendeva un flusso di poco superiore alle 13mila unità. Migration Watch UK, un’organizzazione che si batte contro l’immigrazione di massa, sostiene che senza restrizioni nei prossimi 20 mesi potrebbero essere fino a 200mila i nuovi immigrati da Romania e Bulgaria. Un numero insostenibile non solo per il mercato del lavoro ma anche per intere comunità sociali, ha sottolineato lo stesso Reid. «Con l’aumento dell’immigrazione globale e l’allargamento dell’Ue ci attendono nuove sfide - ha dichiarato il ministro degli Interni -. Tra queste anche un adeguamento della nostra legislazione. Per questo dobbiamo trattare l’immigrazione con cautela e gradualità».
Stime e preoccupazioni che non convincono, anzi indignano, le autorità dei due Paesi interessati. Dan Ghibernea, ambasciatore rumeno a Londra, si dice convinto che non sarebbero più di 7mila i lavoratori intenzionati a lasciare la Romania per raggiungere la Gran Bretagna.

Furiosa anche la reazione di alcuni dirigenti della comunità rumena nel Regno Unito, che hanno accusato il premier Blair di aver condotto una «campagna denigratoria» nei loro confronti. La Bulgaria medita addirittura una vendetta, applicando misure analoghe ai cittadini britannici che vogliano trasferirsi a Sofia.

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