Economia

Londra, la sterlina soffre e il governo pure

Ora la speculazione al ribasso sui titoli del debito pubblico e sulla moneta è passata dalla Grecia al Regno Unito e la sterlina sta ballando, con tendenza alla discesa, assieme all’euro. L’attacco alla sterlina è appena iniziato. Non si può fare a meno di ricordare che l’attacco all’euro, tramite la vendita del debito pubblico di Atene da parte dei fondi di investimento speculativi (ovvero hedge fund) è partito da George Soros, il finanziere che, il 13 settembre del 1992, vendendo allo scoperto dieci miliardi di dollari di sterline fece crollare la moneta britannica. La sterlina lunedì dopo essere scesa a 1,478 con il dollaro è risalita in chiusura a quota 1,497. Ma martedì ha perso di nuovo mezzo punto. Ciò mentre l’euro scendeva a quota 1,3487 e conseguentemente si cambiava con la sterlina a 0,90. Chi suppone che si passa fare (come si sta facendo) la guerra all’euro, tramite il debito greco, senza influenzare negativamente la sterlina sbaglia. Infatti fra sterlina ed euro vi è un rapporto stretto, derivante dal fatto che il Regno Unito fa parte dell’economia europea e vi esporta una rilevante quantità di beni e servizi, mentre ne importa un quantitativo anche superiore.
Sin quando gli inglesi vendevano al mondo molti servizi finanziari, il deficit della loro bilancia del commercio estereo che era di 3 punti sul Pil (Prodotto interno lordo) non era preoccupante. Ora che i servizi finanziari di Londra si sono sgonfiati, gli inglesi hanno bisogno di esportare di più e di importare di meno e per conseguenza la svalutazione della sterlina rispetto all’euro e al dollaro è inevitabile. E quando l’euro perde con il dollaro, anche la sterlina si indebolisce, sia pure di meno. Una parte delle esportazioni inglesi sono di servizi e beni a domanda rigida, come i servizi telefonici, il petrolio e i prodotti della chimica fine. Se la sterlina perde valore in euro, la domanda di questi prodotti nell’area euro non aumenta, invece si riducono gli incassi di sterline. Ma gli inglesi importano molti beni a domanda elastica e quando la sterlina si deprezza le merci estere trovano più difficoltà a fare concorrenza a quelle inglesi e il turismo nel Regno Unito aumenta.
Londra, a differenza di Atene, non rischia l’insolvenza sul suo debito pubblico perché prima degli enormi deficit di bilancio di questi ultimi due anni e del 2010, il Regno Unito aveva un basso rapporto fra debito e Pil, a differenza della Grecia. Ora in Grecia esso si sta avvicinando al 120 per cento del Pil. Nel Regno Unito il debito prima della crisi era sul 55% del Pil, ora esso è al 70% e si sta avviando all’80%. Il deficit di bilancio inglese è al 13% del Pil, una percentuale stratosferica, come quello della Grecia. Sia la Grecia che il Regno Unito hanno una bassa pressione fiscale, solo il 37-38% del Pil, quindi in teoria entrambi possono aumentare la pressione fiscale, per far fronte agli interessi sul debito. Ma in pratica nel Regno Unito le imposte funzionano, in Grecia molto meno. Però la Grecia può essere aiutata dalle banche tedesche e francesi, che avendo in portafoglio un’enorme quantità di titoli del debito greco non desiderano che il governo di Atene fallisca e quindi invocano l’intervento dei loro governi, in aiuto della Grecia che in realtà è un aiuto a loro. Per gli inglesi, non ci sono aiuti esterni. È la banca centrale inglese che ha aiutato le banche inglesi, e si è appesantita. D’altra parte mentre sembrava che i conservatori potessero vincere le elezioni, attuando un piano di austerità tipo Margareth Thatcher, sia pure in edizione riveduta, adesso i laburisti hanno, nei sondaggi, un piccolo margine di seggi, perché si è scoperto che Lord Ashcroft, il principale finanziatore dei conservatori, per non pagare l’Irpef inglese sui suoi guadagni esteri (la parte più importante del suo patrimonio) ha dichiarato di non essere residente permanente del Regno Unito, ma solo ivi domiciliato. Per essere membro del parlamento, nel Regno Unito basta il domicilio. Ma è evidente che quello di Lord Ashcroft è un trucco, più o meno legale, perché lui in Inghilterra ci risiede davvero. Di qui la perdita dei voti dei conservatori e la discesa della sterlina, perché non è chiaro chi formerà il nuovo governo, dopo le elezioni di primavera.
Si pensava che dopo la Grecia toccasse alla Spagna e forse poi all’Italia, di cadere sotto la speculazione contro il proprio debito pubblico.

Invece ora tocca all'orgogliosa Inghilterra, quella i cui giornali economici, Financial Times ed Economist, hanno costantemente pubblicato articoli sul rischio Italia e sul fatto che la classe politica italiana, Berlusconi in particolare, è inadatta a governare.

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