Uno è lo stracampione, l’altro è lo straerede. Anche gli ultimi testardi che s’aggirano per le vie del motomondiale dovrebbero, a questo punto, averlo compreso. Valentino Rossi ha vinto di tutto e di più, da quindici anni trionfa, domina e alza l’asticella del salto sempre più in alto come se solo questo potesse regalargli l’adrenalina necessaria per ritardare in lui il momento della ferale decisione: l’addio alla MotoGp.
È una vita che alza asticelle, il Vale, dalla 125 alla 250 alla 500 alle quattro tempi zeppe di elettronica, a queste moto sempre meno bestie da domare e sempre più computer da accarezzare a trecento all’ora che hanno portato in dote giovani rivali esaltati dalle moto computer e forse - togliamo il forse - meno talentuosi dei duri e puri di un tempo di cui Vale è l’ultimo esemplare. Valentino avrebbe potuto salutare la compagnia un anno fa, dopo l’ennesima dimostrazione di forza, dopo aver mandato in depressione Stoner e sistemato un Lorenzo comunque ormai maturo. Invece no. Asticella ancora più vicina al cielo, nonostante quell’anno in più sulla schiena, e via a sfidare di nuovo se stesso nel modo più difficile possibile: concedendo all’affamatissimo Lorenzo un’altra stagione per crescere ancora.
E Lorenzo è cresciuto. Da ieri, a Le Mans, catino di Francia insolitamente caraibico, lo stracampione potrà dirsi contento quanto ad adrenalina: l’asticella è alta alta e lo straerede è pronto pronto. Jorge ha vinto di velocità e coraggio, di attenzione e strategia, alla Valentino insomma. E per farlo capire una volta di più ha regalato ai suoi tifosi un’altra gag a fine gara, stavolta sedia, centro pista e sacchetto di pop corn. Jorge si è seduto a sgranocchiare avversari, due settimane fa si era tuffato in un laghetto. «Bella gag» ammetterà Valentino «io le facevo dieci anni fa...».
Vero, verissimo e più che farle, Valentino le aveva inventate di sana pianta, le aveva introdotte rivoluzionando il cerimoniale del dopo Gp. E i dieci anni sono tutti lì a dimostrare una volta di più che l’erede ha imparato proprio tutto, anche i piccoli show. Jorge ha oggi 23 anni e una decade fa Vale ne aveva 21. Stessa pasta, insomma, anche se Rossi non aveva nessuno da imitare e seguire, Rossi era nato così.
Servono altre prove? Tutto torna. Per cui seconda vittoria di fila per lo spagnolo che ora ha 9 punti su Valentino, secondo con spalla acciaccata, unica attenuante a cui aggrapparsi per giustificare il modo sbrigativo in cui Jorge, quando ha deciso di passare il nostro, l’ha passato. «Per la verità - spiegherà con la consueta franchezza Rossi - la spalla mi ha dato fastidio ma solo nella parte finale della corsa, a cose ormai fatte... Avevo invece problemi di assetto, per questo non c’è stato un corpo a corpo fra noi e non è stato un duello. Ma lo è ormai in campionato: ora in corsa per il titolo ci siamo io e lui».
Lui, Lorenzo, che sereno e schietto - anche in questo è l’erede certificato - dice «per me era importante riuscire a vincere due volte di seguito, non c’ero mai riuscito in Motogp. Dietro Vale ho provato a stare con lui senza commettere follie, non volevo buttare al vento la possibilità di vincere. Passare Pedrosa è stato facile (la riprova con Dovizioso all’ultimo giro che lo befferà per il podio) perché Daniel non frena forte, invece Vale sì... E io pure... E così l’ho sorpassato.
Credevo che mi rimanesse attaccato di più, invece sono riuscito ad andare via... La cosa più difficile è stata mantenere la calma nei primi dieci giri, quando avrei voluto attaccare subito e invece me ne sono stato buono... Valentino staccava davvero troppo forte».
Asticella, dunque, che più alta non si può: lo stracampione e lo straerede a darsele di santa ragione, gli altri praticamente a far da spettatori (di certo Stoner finito di nuovo per margherite) e quelle due Yamaha, una identica all’altra in tutto e per tutto, a far da giudici super partes. Che spettacolo.