Detroit - Com'è lontana Detroit da Pomigliano. E com'è diverso, qui nel Michigan, il modo di agire e di pensare di coloro (i sindacati) il cui compito principale è quello di difendere e favorire i posti di lavoro. A Jefferson North, la fabbrica di Detroit simbolo della rinascita della Chrysler «by Fiat», presto potrebbe partire il terzo turno. Le vendite del nuovo Grand Cherokee tirano e gli operai, gli stessi che armati di ramazza hanno rimesso a nuovo l'impianto, sono pronti al «sacrificio». Qui, il ceo Sergio Marchionne è visto come l'uomo che, in un anno, ha resuscitato un cadavere (la Chrysler), ridando la speranza e assicurando la busta paga a migliaia di persone ormai rassegnate alla disoccupazione. Com'è distante, poi, l'approccio con la realtà di Cynthia Holland, la robusta presidente della Uaw (il sindacato metalmeccanico Usa) di Jefferson, rispetto a quello di Maurizio Landini, neo leader della Fiom. Da una parte, qui negli Stati Uniti, le prospettive di far tornare grande la Chrysler vedono sindacati e lavoratori pronti a farsi in quattro; dall'altra, in Italia, la politica del «no a prescindere» portata avanti dalla Fiom rischia di fare saltare l'investimento di 20 miliardi che Marchionne ha programmato per rilanciare la produzione di auto nel Paese. Se così fosse, se il piano «Fabbrica Italia» dovesse trasformarsi in «Fabbrica Turchia» o «Fabbrica Serbia» o «Fabbrica Brasile», le conseguenze per l'economia e l'occupazione sarebbero tragiche. Questa ipotesi, d'altronde, non è poi così remota. Proprio ieri, rispondendo agli analisti dalla verde Auburn Hills, direttamente dall'avveniristica torre Chrysler inaugurata nel 1986 dal suo predecessore Lee Iacocca, Marchionne ha fulminato la platea: «Il progetto Fabbrica Italia è congelato: il piano di portare la nuova Panda a Pomigliano va ovviamente avanti, e così l'investimento di 700 milioni)».
In stand by rimangono gli altri progetti collegati allo sviluppo dei nuovi modelli. Ma la Fiat, come ha ripetuto più volte il suo ad, non può rischiare di perdere la sfida della competitività perché impegnata a controbattere i «sabotaggi» nelle sue fabbriche. Da qui il segnale, forte, che il bicchiere è colmo: «Ho deciso - ha tagliato corto Marchionne - di spostare la produzione del modello L-0 (quello che sostituirà Idea, Multipla e Musa, ndr) da Mirafiori a Kragujevac, in Serbia». L'investimento è comunque partito: 1 miliardo. La Bei ha garantito un prestito di 400 milioni e Belgrado ha messo sul tavolo 250 milioni. Oltre l'Adriatico saranno prodotte fino a 240mila L-0 (è il nome in codice). Via all'assemblaggio tra 2011 e 2012. La mossa di Marchionne è chiara e fa capire che per il fatidico Piano B può partire in qualsiasi momento, anche frazionato.
Pomigliano, per la Fiat, è sempre più un banco di prova: se non sarà possibile produrre con regolarità la nuova Panda e se non sarà garantita la governabilità all'interno della fabbrica campana (Marchionne chiede che a collaborare sia il 100% dei dipendenti: in caso contrario sarebbe pronto anche a considerare persi i 700 milioni) tutto tornerebbe in discussione. In meno di un anno, da quanto si è capito, la nuova Panda potrebbe essere sistemata in un altro impianto, fuori Italia.
Ieri la Borsa ha celebrato con un più 6,74%, portando le azioni a 9,66 euro, l'ok del cda allo scorporo e i conti brillanti del secondo trimestre. Ma le nuove nubi che si addensano su «Fabbrica Italia» potrebbero scatenare fin da oggi una nuova tempesta.
L'orgoglio di casa Chrysler: anni luce da Pomigliano
Il ceo congela il piano Fabbrica-Italia. Torino non può rischiare di perdere la sfida della competitività
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