Vi racconterò le mie intercettazioni e quel che successe: una vergogna italiana che può illustrare bene non soltanto che razza di Paese sia il nostro ma quanto la sinistra sia perfida, cinica e ipocrita e quanto la destra sia assente, malaccorta, sostanzialmente ottusa anche se con le doverose eccezioni. Alexander Litvinenko era morto il 23 novembre e di colpo una morbosa attenzione si scatenò sulla commissione Mitrokhin che aveva concluso i suoi lavori a marzo nel più torbido e innaturale silenzio stampa. Pochi giorni dopo mi telefonò una giornalista del Corriere della Sera che mi fece strane domande: se per caso, io, come dire, insomma, avessi dato a Scaramella una, cioè almeno dei consigli. Era tutto un farfugliare imbarazzato ma il significato era lampante. Chiedi: mi stai dicendo che ci sono delle intercettazioni? Sì: la pattuglia dei giornalisti che fanno parte di una certa squadra erano stati convocati a Napoli (dove esattamente? non lo so) e si precipitavano a saccheggiare in una apposita stanza una astuta e artefatta selezione di intercettazioni illegali – essendo io un parlamentare – di conversazioni fra me e un collaboratore del Parlamento della Repubblica.
I testi erano approssimativi e manipolati ed erano stati selezionati in modo da mettere in luce le telefonate in cui io mi rivolgevo a Scaramella in modo rude. Paradossalmente la telefonata che fu presentata come prova della mia malvagità era proprio quella in cui difendevo Romano Prodi da accuse non provate. Nel linguaggio da caserma che mi vanto di usare quando cavolo mi pare e piace io maltrattavo Scaramella dicendogli che le prove devono essere prove e non chiacchiere. Si parlava ovviamente dell’ipotesi, che è tuttora un’ipotesi anche se potentemente sostenuta da indizi, secondo cui Romano Prodi potesse essere stato un agente sovietico ai tempi dell’Urss e poi per la Russia dopo la caduta dell’Urss. Era quanto il generale Trofimov aveva detto a Litvinenko, ma Trofimov era morto ammazzato e io non volevo portare come prova la testimonianza di un morto. Litvinenko l’aveva sostenuto, ma Litvinenko lo hanno ammazzato e non posso più portare le sue parole come prova. E così via. Ho avuto una mezza dozzina di morti nel corso della mia inchiesta, di cui non è mai fregato niente a nessuno, specialmente ai giornalisti d’assalto dei giorni nostri.
Ma quanto alle intercettazioni, le cose stavano così: mi avevano intercettato per 130 volte, non mi avevano (e non mi hanno tuttora) avvertito delle intercettazioni come prescrive la legge, hanno fornito una selezione accurata in pasto alla stampa al palese scopo di distruggere me, in questo caso, e non Scaramella. E nessuno – per citare una vecchia canzone di Jannacci – fece una piega, neanche un plissé. Anzi, la sinistra che oggi si straccia le vesti e urla all’anomalia tutta italiana delle intercettazioni e alla barbarie delle stesse, tutta e in blocco mi massacrò senza un attimo di esitazione fregandosene del fatto che era stato compiuto un colpo di Stato ai danni del Parlamento e delle sue prerogative.
Soltanto il presidente del Senato Franco Marini insorse con parole appropriate, ma nessun altro lo fece. La mia parte politica, Forza Italia, sembrava incerta se bersi tutta la panzana che era stata preparata e servita nel modo spudorato che ho detto, o esprimere qualche timida forma di «solidarietà personale», come se il mio non fosse stato un gigantesco, macroscopico, scandaloso e devastante caso politico – come quello oggi del generale Speciale, ma per la sua premeditazione e arbitrio anche peggio – ma un caso personale del «povero Guzzanti», al quale può andare la personale simpatia e solidarietà. Fu così che ricevetti la forte e ben espressa solidarietà di Sandro Bondi e di Renato Schifani, oltre a quella dell’indomito Lucio Malan che è un solitario cavaliere senza macchia e paura, ma tutto il resto fu silenzio. Per esser chiari: da Silvio Berlusconi, pubblicamente, neanche un fiato. Da varie zone anzi, ostilità aperta. Gli amici della Lega e molti colleghi di Alleanza nazionale sono stati solidali ma sempre in una forma riservata, da caso singolo, un accidente, un incidente.
Io, che sono un ex giornalista di Repubblica e che vengo da sinistra dove conosco non soltanto tutti i miei polli, ma anche le regole e le tattiche del pollaio, guardavo quasi ammirato - sbalordito ma ammirato - il modo compatto, metodico, ordinato, globale, senza riserve, senza eccezioni, con cui la sinistra procedeva al mio massacro numero due, dopo il massacro numero uno successivo alla falsa intervista di Evgueni Limarev (conservata per quasi due anni nel cassetto) che affermava di avermi visto manovrare servizi segreti paralleli mai esistiti, dove si confezionavano dossier mai confezionati, mai visti e del tutto inventati. Limarev ha confessato di aver detto il falso («avrò forse incontrato un suo sosia, ma non era certo lei»), tutta la montatura è stata dimostrata da me falsa e prefabbricata in ogni sua parte, ma nessuno si è mai curato di osservare questo dettaglio. La destra è cieca, sorda, distratta, buona e credulona, facile a farsi intimidire, incline a solidarizzare piuttosto con il nemico che con l’amico.
Io ho passato il periodo più feroce della mia vita, e ancora lo sto passando. Per la prima volta ho dovuto far ricorso a un antidepressivo. Ciò che mi sconvolgeva e mi sconvolge è l’evidenza del falso e l’impotenza del bene, l’impotenza della politica a smascherare il male. Ho così imparato che senza la verità non esiste l’ombra della libertà e che tutto questo ciarlare di libertà nella casa delle libertà e dei circoli della libertà e libertà di qua e di là, è tutto falso come una moneta da tre dollari: se prima non viene smascherata la menzogna, se non viene riaffermata la verità, non esiste alcuna speranza per la libertà. La vicenda delle mie intercettazioni è losca, è illegittima, è lampante.
Adesso si assiste a questa sceneggiata dello sconcerto per le intercettazioni che coinvolgono Fassino e D’Alema. Loro si volevano fare le banche, le scalate, le cordate. E urlano tutti come se li avessero scorticati e tutti mettono le mani sul fuoco per loro, ritirandole con ustioni di terzo grado, ma non importa. Nel mio caso devo al Gip Forleo e al senatore dell’Ulivo Manzione se un briciolo di ritorno alla decenza si è visto, sia pure in forma di pallida traccia: finalmente qualcuno si chiede, addirittura su Repubblica, Stampa e Corriere, se nessuno ha qualcosa da ridire per il fatto che quel che accade oggi ai grandi intercettati divini della sinistra è esattamente quanto accadde – nel colpevole e indegno silenzio generale – al senatore della Repubblica Paolo Guzzanti, intercettato mentre era una figura istituzionale, presidente di una Commissione parlamentare bicamerale d’inchiesta.
Non sono più neppure in grado di provare amarezza. E neanche nausea. E neanche indignazione. Sono diventato coriaceo e duro, scrivo un libro che mostrerà la verità in maniera totale e non mascherabile, e penso che così io renderò un servizio non a me stesso, ma agli italiani che non sanno nulla perché nulla è stato loro detto.
Paolo Guzzanti
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