Dalla lotta allo Stato ai moduli dell’Inps

di Paolo Granzotto
Ma se non possiamo più contare sui nostri nemici, cosa ci resta? Renato Curcio, l’ideologo delle Brigate rosse, l’irriducibile, il mai pentito, il mai dissociato. Renato Curcio, per il quale l’omicidio era «un principio accettato nella logica della pratica rivoluzionaria» e attraverso quella pratica intendeva abbattere lo Stato, be’, lui, vorrebbe la pensione.
È passato dai proclami, dai volantini con la stella a cinque punte che facevano tremare le istituzioni, alla modulistica Inps. Istituto nazionale della previdenza sociale. Nessuno si aspetta, anche se il copione lo pretenderebbe, che un eroe rivoluzionario e irriducibile muoia in piedi. Sarebbe addirittura chiedere troppo un’uscita di scena alla Amatore Sciesa, quello del «tiremm innanz». Però, finire così, in cassa mutua, è l'ultima cosa che ci saremmo aspettati da un sacripante come Renato Curcio. Il bello è poi che la pensione manco gli spetta. La debita richiesta, quella l’inoltrò accompagnata dalle relative carte e cartuccelle, ma l’Inps gli rispose picche, non riconoscendogli come lavoro dipendente o autonomo l’attività terroristica e l’accoppar (in qualità di mandante, poi) la gente.
Per la verità Curcio un’occupazione l’avrebbe, essendo membro di una cooperativa «di produzione e di lavoro». Però nemmeno l’interessato lo chiama lavoro, quanto piuttosto «un modo di guardare, un modo di cercare, un modo di porre domande sui vissuti delle esperienze estreme»: un modo, in pratica, di marcar impunemente visita, tant’è che l’Inps non c’è cascata. Negandogli anche la pensione sociale per via che la signora Curcio sì che lavora, avendo di conseguenza un reddito. Di «social card», poi, neanche a parlarne.
Dicono che Renato Curcio non abbia intenzione di lanciare un appello perché magari, aggirando qualche ostacolo, gli venga assegnata, quella benedetta pensione. Vedremo in seguito se così è o se partirà la solita raccolta di firme in suo favore. Intanto, però, resta il fatto che zitto zitto e quatto quatto la pensione ebbe a richiederla, evidentemente ritenendo che lo Stato che voleva abbattere non è poi così male e dunque tanto valeva approfittarne.
Così facendo Curcio ha gettato una luce inaspettata sul terrorismo brigatista: tenorile e ferino, brutale e sanguinario nei fatti, ma querulo, ai quattro formaggi, nella sua essenza ideologica e culturale ispirata al «tengo famiglia» che Leo Longanesi pretendeva fosse collocato, quale motto nazionale, al centro del tricolore.
Mordeva, il terrorismo, mieteva vittime: ma il suo era morso di pecora, non di leone. Non che questo ce lo faccia meno disprezzare e non che mendicando il trattamento pensionistico Curcio ci riesca più simpatico. Abbietto resta il primo e odioso il secondo.

È solo una questione di «balentìa», come direbbero i sardi, di quegli attributi che ci si aspetta, quasi si pretendono da un nemico, anche e soprattutto se vinto. E invece no, Renato Curcio, l’irriducibile, il duro, in realtà è una mammola. Che non si faccia più vedere in giro, perché rischia d'esser preso a pomodorate.

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