«Di Luca ha barato» Il Coni vuol far nera l’ultima maglia rosa

Chiesta la squalifica di 2 anni: sarebbe la fine della carriera. Sotto accusa il livello di ormoni nella tappa dello Zoncolan. La difesa: «Per quei valori bastava bere molto»

Il ciclismo come laboratorio del nuovo, e non ci sarebbe nulla di male. Il problema è che ormai il ciclismo è uno sport che si divide tra tribunali e laboratori. Ora tocca a Danilo Di Luca, ultimo vincitore del Giro d’Italia, deferito ieri dalla Procura Antidoping del Coni, presieduta da Ettore Torri, per la vicenda legata alla «pipì degli angeli»: troppo pulita per sembrare vera, con un profilo ormonale di un bambino e non di un uomo adulto. Per questa ragione, la Procura del Coni ha disposto ieri pomeriggio il deferimento di Danilo Di Luca al Giudice di Ultima Istanza «a seguito del controllo antidoping senza preavviso effettuato dopo lo svolgimento della 17ª tappa del Giro d’Italia “Lienz (Austria)–Monte Zoncolan”», si legge nella nota del Coni. La richiesta è di due anni di squalifica: quindi niente Giro 2008 e, soprattutto, carriera a rischio per un corridore già giunto al traguardo delle 32 primavere.
Al Monte Zoncolan altri tre corridori furono controllati al pari di Di Luca, e le loro urine sono ancora allo studio. La questione di Eddy Mazzoleni, per esempio, è stata presa tutta in carico dalla Procura di Bergamo. Quelle di Gilberto Simoni e Riccardo Riccò sono ancora oggetto di studio e approfondimenti, perché il corridore abruzzese diede a suo tempo il consenso affinché la Procura operasse dei confronti con altri esami. Simoni e Riccò no. Quindi è ipotizzabile che la Procura terrà molto sotto osservazione questi due atleti, nell’immediato futuro, prima di esprimersi.
Danilo Di Luca, da parte sua, non parla. Per lui lo fa l’avvocato Federico Cecconi che, assieme ad una squadra di periti (quattro), dovrà dimostrare la buona fede del corridore davanti al Gui, ed evitargli quindi la squalifica.
«Già dai documenti presentati e dalle relazioni delle consulenze tecniche autonome, a firma di quattro autorevoli esperti – dice Cecconi -, si evidenzia in maniera precisa l’assenza di anomalie. Consulenze che quindi supportano quanto da noi sostenuto: cioè la confutazione su basi scientifiche di un’ipotesi della Procura indimostrata e non fondata. Anche nel provvedimento si manifestano dubbi legati alla particolare situazione tecnica. I consulenti della Procura credono che i valori riscontrati siano legati a pratiche di assunzione endovenosa di liquidi, mentre da altre consulenze emerge che la reidratazione sia stata naturale».
A schierarsi con il vincitore del Giro anche uno dei più grandi nefrologi italiani, Giuseppe Remuzzi, dell’Istitituto Mario Negri di Bergamo. «Per avere nelle urine dei valori come quelli di Di Luca la sera dello Zoncolan, basta e avanza bere abbondantemente. Tutte le altre opinioni in merito sono personali, la letteratura scientifica dice questo e basta».
La Procura antidoping del Coni sostiene invece, con l’aiuto di una perizia di parte redatta dall’endocrinologo del Bambin Gesù di Roma Marco Cappa, che la variazione di peso specifico sia troppo repentina per essere giustificata dalla idratazione per bocca, e che la rapida variazione del volume plasmatico sia stata indotta da una reidratazione per altra via: ossia una flebo.


«La concentrazione, che era normale anche nei valori ormonali nel primo prelievo, scende nel secondo: i valori ormonali restano in proporzione alla discesa di concentrazione, e non ci vedo nessun problema», ripete il professor Remuzzi. Sarà una vera e propria lotta tra periti, un processo scientifico in piena regola tra grandi luminari della materia: intanto sul ciclismo scende ancora una volta il buio.

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