Di Luca, l’antidoping è dopato?

Dagli autovelox taroccati all’antidoping dopato. Non è una novità: per sgominare i furbi, spesso si ricorre alla furbizia, andando un po’ oltre il lecito. In materia di antidoping, al momento, nessuna furbizia da registrare, ma sicuramente qualche forzatura. Troppi esami rivoluzionari, spesso da interpretare in laboratori di mezzo mondo e davanti a giudici in aule di tribunali. È il caso di Danilo Di Luca, ma anche di Davide Rebellin, quest’ultimo positivo al Cera alle Olimpiadi di Pechino, ma ancora in «stand by» per questioni legali legate al metodo, alla conservazione e al trasporto dei campioni che in un primo momento erano stati analizzati in occasione delle Olimpiadi in Cina, e dopo tre mesi rianalizzati con nuove metodologie per volontà della Wada, l’agenzia mondiale dell’antidoping.
La questione Di Luca, invece, due volte positivo al Cera (l’Epo di nuova generazione) il 20 e il 28 maggio al Giro d’Italia, pare essere meno complessa, ma presenta anche questa aspetti poco chiari. Le controanalisi nel laboratorio parigino di Chatenay Malabry, che aveva riscontrato le tracce di Cera nel sangue del corridore abruzzese, si sono concluse l’altro ieri. Parigi ha inviato i risultati, per la validazione che è prevista dal codice mondiale antidoping, ai laboratori di Montreal e Vienna, entrambi accreditati per i test sull’Epo. Ha risposto immediatamente quello austriaco, e quindi toccherà a questo l’ultima parola. Il responso è atteso per oggi o al massimo per domani.
Cosa c’è di tanto strano dietro a tutto questo? Intanto il test: molto sofisticato, difficile e particolarmente aperto a più interpretazioni. Attualmente - è bene ricordarlo -, solo il laboratorio di Chatenay Malabry è in grado di ricercare il Cera, essendo il solo ad avere le macchine capaci di analizzare i campioni di sangue. La Wada garantisce per tutti: l’ha approvato e controllato, ritenendo i test «affidabilissimi». Questa elevata affidabilità viene messa però in dubbio da una buona parte della comunità scientifica sportiva, a incominciare ­ come è logico che sia ­ dai periti di parte del corridore abruzzese. Affidabilità messa in dubbio proprio da una terza positività sempre riscontrata a Di Luca in occasione dell’ultimo Giro d’Italia, ma mai ufficializzata. Una positività datata 31 maggio. Dubbio a Roma, dubbio a Losanna, positivo al Cera a Chatenay-Malabry. Mentre la «validazione» di Barcellona non c’è stata: ciò che era positivo per Parigi non lo era più per Barcellona. Va anche detto, per correttezza di informazione, che a Barcellona questa seconda opinione era stata richiesta anche per le due positività accertate. Insomma, Di Luca e i suoi consulenti sperano di dimostrare che questo metodo non è totalmente affidabile e ha ampi margini di errore o di interpretazione. Ma non sarà facile.
In ogni caso Di Luca attende, e nel frattempo il ciclismo tutto «corre» le sue gare più importanti nei laboratori e nelle aule dei tribunali.

Ci si chiederà: perché mai i corridori, così sensibili alle pratiche doping, si sono prestati così allegramente ad accettare ogni tipo di controllo antidoping, non riscontrabile in nessun altro sport? La risposta è semplice: perché pensano di essere sempre i più furbi. Non sapendo, che ogni tanto, al limite ci può andare anche l’antidoping.

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