Quali fossero le passioni di Fra Luca Bartolomeo Pacioli (Borgo San Sepolcro, Arezzo, 1445 - Venezia 1517), il più insigne matematico del Rinascimento, lo apprendiamo da un suo celebre ritratto, opera di Jacopo de Barbari, ora esposto al Museo di Capodimonte, Napoli. Lo sguardo meditabondo perso in vertiginose elucubrazioni aritmetiche e filosofiche, lassorto francescano (entrò nellordine nel 1470) traccia a gesso su una lavagna da geometra la dimostrazione di un teorema euclideo con la mano destra, mentre con la sinistra sfiora la pagina di un trattato scientifico: un dodecaedro (mistico solido platonico) sembra librarsi nellaria, e un altro modello stereometrico poggia su un ponderoso volume.
Se il ritrattista avesse inteso rappresentarci a tutto tondo la personalità misteriosa e complessa di questo scienziato, avrebbe dovuto trovar modo di inserire, accanto al compasso e agli arnesi da calcolo, anche una scacchiera. Tra una poderosa enciclopedia matematica (la Summa arithmetica, pubblicata in volgare a Venezia nel 1494), il più celebre De Divina proportione, opera capitale sulla sezione aurea, e la traduzione latina degli Elementa di Euclide, scritta nel 1509, Pacioli trovò il tempo di teorizzare mosse e contromosse del gioco degli scacchi, ricavandone un manuale De ludo scacchorum, dedicato - secondo luso del tempo - alla marchesa di Mantova, Isabella dEste.
Del manufatto - quarantotto carte, ottimamente conservate, con fini illustrazioni dei pezzi, situazioni pratiche del gioco e relative soluzioni - sera persa nel tempo ogni traccia positiva, ma non il ricordo documentario. Il manoscritto aveva visto la luce alla corte di Mantova dove, verso il 1500, Pacioli si era trasferito con il suo sodale Leonardo da Vinci, profughi entrambi dal ducato milanese di Ludovico il Moro, sotto attacco di Luigi XII, re di Francia. Dopo numerosi transiti da città a città, da una mano bibliofila allaltra, lultimo approdo del prezioso fascicolo fu la raccolta della Fondazione Palazzo Coronini Cronberg di Gorizia. Qui Duilio Contin, storico del libro, lha infine riconosciuto, tra pregiati pezzi antiquari acquisiti dal conte Guglielmo Coronini quasi mezzo secolo fa.
Lanalisi del paleografo lascia poco margine al dubbio: grafia, filigrana, stile del testo, tutto riconduce al matematico di San Sepolcro. Sognare non costa nulla: e se le magnifiche riproduzioni dei pezzi, sicuramente fatica di un luminare della matita, fossero di pugno del genio da Vinci? Nei manoscritti leonardeschi sono presenti disegni geometrici di poliedri che potrebbero essere bozze delle illustrazioni a corredo dellopera pacioliana sulla misura aurea. Non si può escludere che in quel dicembre del 1499, sotto lala protettrice mantovana, i due illustri ospiti lavorassero a quattro mani anche a questoperina, destinata forse a fungere da raffinato pegno di risarcimento per laccoglienza della mecenatesca marchesa.
Quanto agli scacchi, la loro giocosa mescolanza di problematiche teoriche e di pratica attuazione degli schemi non poteva non attrarre lattenzione di uno scienziato, come Pacioli, attento anche agli aspetti concreti della sua cerebrale disciplina: nel manuale di aritmetica (che abbraccia la geometria e le magie della proporzione) non mancavano i riferimenti alle misure, ai pesi, ai cambi di valute in uso tra i mercanti italiani, oltre al «metodo veneziano», antenato della partita doppia. Deve aver sentito affinità, il monaco matematico, con il bramino della leggenda, Lahur Sessa, che dopo aver inventato la scacchiera per lenire lo strazio di un re, chiese a ricompensa, tra il generale compatimento, un chicco di grano moltiplicato a potenza, per ogni casella del gioco.
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