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Luca Telese Il «santorino» si irrita se lo confronti con il maestro

Chissà poi perché se l’è presa tanto quando Alessandro Sallusti, condirettore di questo giornale, mercoledì sera, in diretta, lo ha paragonato a Michele Santoro. La puntata di Tetris che stava conducendo sembrava un omaggio ad Annozero o quanto meno una citazione. Principalmente perché pendeva da una parte peggio della Torre di Pisa, ma non solo per questo. Ed è strano che la scomposta reazione del normalmente composto Luca Telese (ex giornalista di questo giornale) sia stata quella di uno a cui avevano punto le tempie con le pinze dell’elettroshock nel sentire il nome del «maestro» di equidistanza accostato al suo. Per lui, in fin dei conti, quello di Sallusti avrebbe dovuto essere un complimento. Perché è vero che Luca Telese, 39 anni, scrittore, conduttore tv, giornalista del Fatto Quotidiano (ci è arrivato dopo aver lasciato il Giornale lo scorso agosto), ben maritato (è genero di Enrico Berlinguer perché compagno della figlia Laura), è il vero successore di Santoro. Altro che Floris che sorride sempre ed è solo moderatamente fazioso. Mercoledì sera su La7, il titolo della puntata di Tetris dedicata alla censura era «Bavaglio» già preoccupante per assonanza a ripensarci oggi. Ospiti in studio: Alessandro Sallusti, Maurizio Belpietro (ex direttore del Giornale, attuale direttore di Libero). E poi, Enrico Mentana (che qualcuno dà di ritorno a Mediaset), Peter Gomez (che scrive i libri con Travaglio), Carlo Freccero (direttore di Rai 4). In collegamento Gad Lerner, in giuria (quella chiamata a decretare il miglior comunicatore della serata) Barbara Serra (volto italiano di Al Jazeera) e il corrispondente di Libération, Eric Joseph. In studio un altro giornalista del Fatto Quotidiano, Federico Mello, che presentava il suo libro sul popolo viola. Poi un servizio sullo spettacolo teatrale di Marco Travaglio, un’intervista ad Antonello Venditti perché duecento anni fa ha scritto il brano In questo mondo di ladri, e allora l’altra sera tornava utile, un altro contributo di Corrado Guzzanti. Poi la satira di Stefano Andreoli che parla come Daniele Luttazzi, ha la funzione di Vauro, ma grazie al cielo fa battute troppo faticose che quindi non arrivano.
E Sallusti e Belpietro. Invitati, sembrava, non tanto in quanto sparuti rappresentanti dell’innominabile centrodestra, quanto, piuttosto, come «uomini del Cavaliere». O almeno era quello che arrivava ai telespettatori (parecchi, la puntata ha fatto il record di ascolti con il 3,2% di share, 770mila spettatori e picchi del 6,7% di share) portati in giro dalle acrobazie ideologiche della foltissima schiera dell’altrettanto innominabile centrosinistra. Com’erano soddisfatti di far branco. Tra di loro si sentivano sorridere. A parlare di bavaglio senza mettersene alcuno. A parlare di par condicio per parlare di Berlusconi. Però avevano invitato Sallusti e Belpietro. Perché ci vuole correttezza. Perché l’intenzione vale come l’azione. La loro buona fede ha una data di scadenza. Il tempo di far sedere l’ospite e presentarlo. Poi via, con lo stesso argomento che gli martella le gengive. Nove contro due, non coraggiosi ma molti. Il giorno che Telese se n’è andato da via Negri per il Fatto ha sentito di dover spiegare qualcosa ai lettori. Sostanzialmente aveva fatto un po’ fatica, per dieci anni, a interpretare il giornalista di sinistra perennemente infiltrato nelle linee nemiche. Mica facile vivere dell’aria che non si respira. Così cambiava. Ma non voleva parlare di un «salto mortale» quanto del piacere di un «gesto atletico».
Solo vedendo Tetris mercoledì (e in un altro paio di occasioni, a dire il vero), si poteva capire quanto Telese abbia sofferto nell’essere altro da se stesso. Sembrava in piena sindrome da rigetto, in accelerata da disintossicazione, pieno di pieghe di rabbia. In una parola, sembrava «Michele chi?» con tutta la sua non equidistanza, tutta la sua calcolata sproporzione, tutta la sua capacità di mettere in piedi una puntata da record di ascolti fatta con due vittime e nove carnefici. Un nuovo Santoro, insomma. Che fa lo stesso effetto che, ad alcuni, fa una puntata di Annozero.

Un po’ come mettere della carta stagnola su un dente cariato.

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