Il papiro di Dongo di Luciano Canfora (Adelphi, pagg. 812, euro 32) non ha ricevuto molte recensioni al momento delluscita: si tratta di un volume corposo, che richiede tempo per essere letto. Ostico però deve essere stato anche largomento trattato, non scelto per invogliare il pubblico di massa. Il libro, infatti, si occupa di storie di filologi classici e papirologi italiani fra le due guerre. Con determinazione assoluta Canfora si è posto sulle tracce di un personaggio di primo piano della cultura italiana nel ventennio fascista, la cui figura è stata quasi del tutto rimossa dalla nostra tradizione, per chiarire un piccolo mistero della sua vita.
Goffredo Coppola era un filologo, ma anche un gerarca, tanto che fu catturato a Dongo con Mussolini, subì il processo sommario con gli altri accompagnatori giudicati compromessi col regime e venne fucilato sul posto. Dal cortocircuito che la figura di Coppola produce nel suo immaginario, Canfora parte per un itinerario di riflessione storica capace di sorprendere. Siamo abituati ad accoppiare la grande storia ai grandi fatti. Erodoto scrive delle guerre persiane, Tucidide della Guerra del Peloponneso. E poi ci sono le Storie fiorentine di Guicciardini, mentre Braudel si cimenta con Civiltà e imperi del Mediterraneo nelletà di Filippo II e Duby con la figura eroica di Guglielmo il Maresciallo. Gli esempi non mancano.
Canfora accetta la sfida del minimalismo, della storia dei fatti minori, ma con lintento di illuminare per questa via i momenti di maggior significato della vicenda umana. Nel racconto dei rapporti fra Girolamo Vitelli, Medea Norsa, Giulio Vogliano, Evaristo Breccia e gli altri protagonisti maggiori e minori dellambiente culturale italiano ed europeo degli anni Trenta e dei primi Quaranta, si rivela la trama di un sistema di complicità, meschinerie e violenze che presto diviene descrizione del fascismo, fino a trasformarsi nella sua condanna radicale quando esso si scopre nella sua piena natura con le leggi razziali e infine con la guerra.
Lo scavo non si ferma qui. Il compito della storia, e quello della scrittura, del racconto storico, non si esauriscono nella ricostruzione di fatti, situazioni, imprese. Alla storia noi chiediamo di dirci qualche cosa di ciò che siamo, delle nostre motivazioni e dei nostri comportamenti. Dellessere animali razionali e delle passioni che nello stesso tempo ci agitano. E anche qui Il papiro di Dongo si dimostra allaltezza. I protagonisti, pur capaci di decifrare le lettere quasi cancellate appena riconoscibili su antichi papiri pronti a sgretolarsi appena sfiorati, sono uomini passionali. I loro litigi sono furiosi, le loro rotture non ammettono ricomposizioni, le loro ambizioni smodate, il desiderio di affermazione senza limiti.
Perché questo è il senso di quanto si muove attorno al frammento di papiro che è il protagonista passivo della storia. Poco più di una colonna, superstite di un rotolo ellenistico, nella quale si legge una versione diversa da quella di Senofonte della battaglia di Nozio, che costò la carriera ad Alcibiade e forse la guerra agli ateniesi. Un brandello emerso da scavi italiani eseguiti a Ossirinco dopo che gli inglesi avevano sospeso le ricerche nella zona. Forse addirittura rubato dagli scavatori e poi rivenduto agli italiani stessi in un momento sfortunato delle loro campagne archeologiche in Egitto. Un pezzo così importante che la sua edizione, ossia la sua presentazione al mondo scientifico, diviene un titolo di merito tale che per pubblicarla per primi seri professori si abbassano a mezzi per lo meno discutibili.
Mentre, suggerisce e in un certo senso assicura Canfora, già esiste unedizione quasi pronta, egregiamente preparata da uno dei migliori allievi di Coppola, della quale il Coppola stesso dà notizia sul Popolo dItalia, anticipandone gli elementi di maggior rilievo. Ma Alberto Grazziani, questo il nome dellallievo, prima abbandona la papirologia per la critica darte con Longhi, e poi muore, giovanissimo.
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