Luciano e Ivan Zanoni piegano il ferro alla natura

Gli alberi del padre e gli animali del figlio dialogano in un omaggio alle quattro stagioni

Luciano e Ivan Zanoni piegano il ferro alla natura

Il Novecento ci ha dato forse le più alte testimonianze nell'arte del ferro battuto. Alcuni maestri hanno toccato il sublime nella produzione di oggetti d'uso, balaustre, inferriate, pensiline, lampadari, in una interazione con l'architettura senza precedenti. Insuperabile in questa ricerca è stato Alessandro Mazzucotelli. A lui si deve la conformazione finale di ogni architettura liberty.

In questo caso, quando la maggior parte dei ferri è collocata all'esterno, si stabilisce una specie di gara tra arte e natura: l'invenzione è continua, con metamorfosi sorprendenti e passaggi impercettibili tra elementi strutturali e motivi decorativi. In alcuni casi la distinzione si annulla grazie al movimento libero delle forme. Sorprende la grande forza impressa nel ferro da questo artista che, nato a Lodi, è considerato un valdimagnino di Rota. La sua famiglia era infatti originaria proprio di questa valle e lui stesso si definiva fieramente un montanaro cresciuto tra le alte vette che si innalzano su queste vallate. Lucidamente, rivolgendosi a Ugo Ojetti, Mazzucotelli diceva che il Padreterno, per parlare con lui, «g'ha minga de scomodass come parlà a on romano o a on milanes», un modo per dire della tensione religiosa del suo lavoro che esprimerà anche una dimensione sociale negli anni in cui, alla Società Umanitaria di Milano, offrirà la sua esperienza per l'istruzione gratuita ai ceti meno abbienti. Tutto questo nell'ambito di una attività professionale ricercatissima, costantemente impegnato nella progettazione di cancellate per terme, teatri e palazzi: a Milano intere vie sono caratterizzate dalla sua prodigiosa opera, come Corso Venezia, via Mozart e via Cappuccini.

In una casa in Val Imagna, che l'artista abitò ai primi del Novecento, si legge la formula eloquente: «Dum vulnerat format» («Mentre ferisce, forma»), per indicare i processi del ferro nel fuoco per realizzare balaustre, archi, cancelli, lampade. Un esempio maestoso della elaborazione delle forme di Mazzucotelli è nel Palazzo Castiglioni in Corso Venezia a Milano, opera di Giuseppe Sommaruga. Memorabile è anche l'ampia e abbandonata pensilina dell'ex Albergo San Marco a Piacenza. Così alle Terme di Salsomaggiore, così a Sarnico (con le sue meravigliose ville), così a Cernobbio, così a Monza, così a Busto Arsizio, così a Bordighera. In tanto e fantasioso impegno, il liberty deve molto a Mazzucotelli.

Un altro prodigioso scultore del ferro fu il veneziano Umberto Bellotto, che stabilì il collegamento fra la tradizione del vetro e gli elementi di sostegno ai vasi. E ancora in candelabri e lampade. La sua ispirazione è propriamente floreale, non aulica e monumentale. Un altro, Carlo Rizzarda, può essere interpretato come una variante veneta di Mazzucotelli, muovendosi nello stesso ambito della produzione di apparati per grandi complessi architettonici, più che di oggetti. Un'altra grande e poetica personalità fu quella di Alberto Gerardi, attivo a Roma, dove fu allievo di Duilio Cambellotti. Gerardi fu considerato «un vero genio del ferro battuto», ed era noto, in particolare, per i fantasiosi leggii francescani e medicei, per candelabri e lampadari, interpretati secondo motivi floreali e zoomorfi, con un procedimento lineare di ascendenza liberty, e senza sofisticati e artificiosi virtuosismi.

È sorprendente che, ancora oggi, sempre in dialogo con la natura, l'arte del ferro battuto, con coerente rigore e senza diminuzione di qualità, produca grandi risultati. Nelle opere di artisti devoti, intensi e memorabili. Lontani dalla decorazione e alla ricerca della essenza. Nel tormento della forma, fino alla ossessione. Ferro e fuoco esprimono forme pure, assolute.

Nel loro laboratorio a Caldes in Val di Sole, Luciano e Ivan Zanoni, padre e figlio, lavorano, per vocazione, con il ferro a duplicare il mondo animale e vegetale. Il padre, oggi, sul terreno arido del Mart, fa crescere i suoi memorabili alberi che molti, fuori dal Trentino, videro all'Expo di Milano nel 2015; il figlio lo popola di animali quasi fantastici, benché identificabili. L'intelligenza e il virtuosismo che gli Zanoni manifestano hanno le loro radici nella tradizione del primo Novecento, con Mazzucotelli e con Rizzarda e, subito dopo, con il mistico Gerardi. Per poi riaffacciarsi, con un nitore formale ammiratissimo, in Diego Giacometti.

Fu probabilmente quest'ultimo a tenere desta l'attenzione di Giovanni Testori su questa tecnica creativa sempre più rara, nella quale artigianato e poesia convivono e si limitano. E se Luciano tiene per guida la realtà e, soprattutto, la natura, Ivan si avventura in un mondo esotico, popolato di animali che aspirano a ritrovare i loro confini e le loro riserve nel sogno di un impossibile ritorno al gotico. Altri per questa mostra faranno riferimento al Natale, al «Sol invictus» (che è il titolo dell'esposizione) dei culti mitraici (d'altra parte i due scendono dalla Val di Sole): ed è proprio partendo dall'area di un ideale mitreo, definita dallo spazio della fontana al centro del cortile del Mart, che Luciano Zanoni ha creato un canneto.

Qui idealmente si riproduce il sacrificio, con il toro di Ivan accompagnato dal serpente e dallo scorpione, a ricordare il rito del Dio Mitra. Intorno, nel vasto spazio della piazza, si esercita la semplice, pascoliana fantasia di Luciano nelle quattro stagioni: l'inverno con un albero spoglio, la primavera con un ciliegio in fiore, l'estate con un campo di girasoli, l'autunno con un pergolato di viti cariche di uva matura. In ogni gruppo, gli animali relativi di Ivan.

Di questi due artisti il Trentino può andare orgoglioso, per la semplice forza dell'invenzione nel rapporto continuo con la natura, integrando la Creazione. Aiutando Dio a vincere il tempo. Lavorare, con l'anima, non stanca.

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