di Vittorio Sgarbi
Tra gli uomini più sensibili e curiosi che ho incontrato nella mia vita vi è certamente Luciano Emmer. Sarà che i tanti anni lo rendevano denso di storia e di memoria, e che nei vecchi che custodiscono emozioni, sentimenti e valori che si fanno sentire il tempo e la storia come realtà vive, che continuano, che si trasferiscono a noi come energia viva che la letteratura scritta non può trasmettere; sarà che la lunga esperienza in Emmer si univa a uno spirito autenticamente fanciullesco, a una curiosità infantile e a unassenza di atteggiamenti e di sussiego che sono quasi introvabili in un mondo di maschere e di finzioni. Emmer era più vecchio di mio padre, ma provava per me un sentimento non paterno, ma fraterno. È morto negli stessi giorni del più giovane, altrettanto fanciullesco, anche se più prevedibile, Mike Bongiorno. E credo che quello che Fiorello ha detto del suo «compagno di giochi» sia, più della figura paterna evocata da me, il modo con cui si stabilì un rapporto profondo e autentico fra i due. Posso dire lo stesso del mio rapporto con Luciano Emmer.
Negli ultimi anni veniva portato in giro come unicona, veniva chiamato maestro e gli si chiedevano pensieri e parole sulla cultura, la politica, il cinema, in virtù della sua lunga carriera ed esperienza. Luciano fingeva di stare nella parte. Provava a darsi un tono. Ma non ce la faceva a recitare la parte del profeta. Così, mentre rischiava di essere sopraffatto dalla noia, se improvvisamente mi vedeva arrivare cambiava subito registro e iniziava a scherzare, a giocare. Usciva dalla parte. Si divertiva a dire parolacce, a stupire. Pare a me strano, dopo averne sottolineato lo spirito ludico e perfino infantile che tutti i giornali lo abbiano ricordato come linventore del Carosello. Forse una gentilezza per richiamare lattenzione nel dubbio che il nome sia stato dimenticato e non abbia avuto, nonostante la tardiva glorificazione, la fama che meritava. Daltra parte è questo il modo per consentirgli di sostenere il confronto con le rumorose celebrazioni televisive per Mike Bongiorno. Lo storico Carosello è celebre quanto il Lascia o raddoppia di Mike.
Ma Emmer è un regista, e Mike un presentatore, sempre in prima fila. In realtà la riuscita e il successo di Carosello sono stati così travolgenti da travolgere anche Emmer. E io, che ho avuto il privilegio di vederlo, frequentarlo e anche lavorare con lui in un film di mia sorella, avevo completamente dimenticato che egli era il padre di quella tanto celebre creatura. E, pensando a lui, lo restituivo a quella serietà e a quellimpegno da cui egli, vedendomi, si sottraeva. Certo, era ironico, vivacissimo, fresco nei pensieri, quasi in contrasto con il ralenty dei movimenti del suo corpo, così caratteristici. Ma io lo vedevo come un saggista, come un Roberto Longhi o un Giovanni Macchia del cinema darte, e pensavo al suo occhio penetrante, alla sua impresa di pioniere di film e documentari darte. Di più, lo vedevo lontanissimo dalla televisione e vicinissimo, per esempio, a Giotto. Il suo racconto della Cappella degli Scrovegni nel 1939, nella mia percezione, appare coetaneo allimpresa del grande artista. Quelle immagini in bianco e nero sono uno svelamento, analogo a quello che, in panni quattrocenteschi, negli stessi anni faceva Balthus di Piero della Francesca. Il tremore delle immagini, a distanza di tanti anni, ha qualcosa di originario, come lo stupore per una cosa vista per la prima volta. Con locchio che si muove e sente il respiro di Emmer. Ed è inevitabile che da quelle immagini aurorali Emmer si spostasse verso il Masolino di Castiglione Olona, sfiorando Bosch, Carpaccio e anche Picasso. Nel transfert che gli impose mia sorella attraverso la mediazione di Enrico Ghezzi, la purezza del suo sguardo si trasferì dalla Galleria Borghese alla mia casa in piazza Navona. Entrambe «belle di notte», e cioè conquistate attraverso la luce della pila con lespediente dellinterruzione dellenergia elettrica.
In entrambi gli spazi Emmer si muove, anzi locchio di Emmer si muove nel buio vedendo affiorare, con uno stupore sempre crescente le forme di dipinti e sculture dal buio. Unidea che vale, letteralmente come una illuminazione e, allo stesso modo, negando la banalità del documentario, il tremore delle immagini per un vento impercettibile o per il movimento della precaria fonte di luce si è trasferito nella ormai consolidata ricerca critica e visiva nei film darte di Elisabetta. Così è una trasposta idea di Emmer il riflesso nellacqua delle sculture quattrocentesche di Niccolò DellArca e Guido Mazzoni ne «Il pianto della statua». E il genere cinematografico di cui Emmer fu pioniere continua nellopera di questa regista così rigorosa e severa ma, come Emmer e suo fratello, innamorata delle immagini.
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