Lucido affondo nelle energie della commedia

Toni Servillo ha fatto centro un’altra volta. Guardando agli spettacoli italiani prodotti negli ultimi anni, quelli del bravo regista/attore campano figurano senza dubbio tra i migliori. Amati da pubblico e critica, lontani da qualsiasi logica «filotelevisiva», costruiti bensì su un sano artigianato teatrale e su una solida - ma illuminata - aderenza alla tradizione, Il misantropo e Tartufo di Molière (rispettivamente del ’95 e del 2000), Le false confidenze di Marivaux (realizzato nel ’98 e ripreso poi nel 2005), Sabato, domenica e lunedì di Eduardo (2002) segnano le tappe di un graduale e sempre più lucido affondo nelle misteriose energie della commedia (quella borghese del Sei-Settecento e quella realistica del nostro Novecento), che prosegue adesso con il felicE allestimento della Trilogia della villeggiatura di Goldoni in scena al Valle (lo producono Teatri Uniti e il Piccolo di Milano). Se potete, non perdetelo. Perché si tratta di un’iniezione di vitalità, buon gusto, intelligenza, modernità da non lasciarsi scappare. Nel recuperare, infatti, l’idea strehleriana di cucire insieme i tre titoli stesi dal commediografo veneziano in tempi diversi e in modo autonomo (parliamo de Le smanie per la villeggiatura, Le avventure della villeggiatura e Il ritorno dalla villeggiatura), Servillo crea un unicum di circa tre ore, scandito con il ritmo, i pieni, i vuoti, le agilità, le malinconie, gli sbalzi e gli umori propri di un’opera musicale. O, se vogliamo, di un balletto in cui forma e contenuto (linguaggio scenico e tematiche) si tengono per mano e procedono all'unisono, rincorrendo le tensioni e i controsensi di una società decadente, omologata, opportunista e falsa che gioca a mostrarsi e - tanto più - a mostrare il nulla in cui galleggia, ma che finisce inesorabilmente vittima di se stessa, delle sue convenzioni, della sua caparbia devozione al dio denaro e all’immobilità (il richiamo all’oggi è d’obbligo). A farne le spese sono qui soprattutto i sentimenti, gli amori giovanili, l’animo delle donne, fotografati in una galleria di situazioni contrastanti che si apre gioiosamente in levare (la partenza per la campagna, i vestiti adatti all’occasione, le promesse scambiate e ormai irrinunciabili) e poi si ingarbuglia e capovolge, senza però trovare il modo - siamo all’acre epilogo - di cambiare quanto già deciso, di aprire prospettive nuove. Dalle ammiccanti giravolte seduttive di Marivaux si passa, insomma, al disincanto amaro della Rosa di Eduardo, come in un progressivo scolorire delle passioni che, piegate al compromesso e al «contratto sociale», perdono senso e languono.

Il tutto orchestrato con magistrale fluidità (in un impianto scenico quanto mai semplice) e affidato a un cast di ottimi interpreti, che annovera nomi da sempre vicini a Servillo (esilarante nel ruolo dello scroccone Ferdinando) ma che rivela anche due belle promesse della nostra scena femminile: Eva Cambiale (Vittoria) e Anna Della Rosa (Giacinta).

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