I muscoli del capitano sono rimasti intorpiditi dal freddo nel gelo di Torino. Uno, in particolare, quello principale: il cuore. Lo abbiamo visto con il volto triste, più che corrugato, negli attimi che hanno preceduto il suo ingresso in campo al posto di Bonazzoli. Già, perché quando si era trattato di sostituire Sammarco, Mazzarri gli aveva preferito Delvecchio, inoperoso da tre mesi (lo si è visto anche in campo). E prima ancora, al momento di stilare la formazione titolare della Sampdoria contro la Juventus, addirittura Franceschini, un esterno riciclato, peraltro con discreto successo, centrocampista. Sergio Volpi non ha fatto polemiche a scena aperta: da quel bresciano ombroso che è, ha incassato in silenzio, ma con la morte nel cuore, come ha confessato sabato a Bogliasco a un drappello di tifosi, presagendo la «giornata più brutta» della sua carriera.
Sin qui, i fatti. Veniamo alla loro interpretazione, partendo dalla dichiarazione di Mazzarri resa ieri a Bogliasco: «Tra me e Volpi non c'è alcun problema di carattere personale», ha detto leggermente stizzito per la delicatezza dell'argomento. Ne discenderebbe che la decisione di escluderlo a Torino è stata di natura puramente tecnico-tattica. Su questa base, prendiamo atto che Mazzarri reputa, in questo momento, Franceschini e in seconda battuta Delvecchio, più in forma e più adatti al suo gioco. Ne prendo atto, anzi, lo registro, ma in tutta sincerità non ci credo molto. Poiché ritengo Mazzarri un tecnico bravissimo, a cui riconfermo appieno la mia stima e il mio sostegno, mi lascia perplesso il fatto che consideri Volpi il terzo della lista. Non si comprenderebbe, allora, perché la scorsa estate lo abbia difeso dall'assalto del Torino, giudicandolo un elemento importante per la sua nascente Sampdoria. Avrei riconosciuto come valida la motivazione dello scadimento di forma, se non fosse che Delvecchio è risultato assai meno in forma del capitano. Resto pertanto dell'idea che tra Mazzarri e Volpi debba intercorrere, per il bene della Sampdoria, un chiarimento a livello personale. Altrimenti meglio, molto meglio per l'integrità del gruppo e dello spogliatoio, che si arrivi a una separazione definitiva, ancorché dolorosa. La soluzione dei separati in casa mi pare la peggiore, anche se con la Juventus le decisioni dell'allenatore sono state premiate dal risultato. In caso contrario (e poteva succedere), il tenore dei commenti sarebbe stato lo stesso?
Giudico Sergio Volpi, al netto dei nazionali, uno dei migliori giocatori italiani. E, a mio giudizio, rimarrà tale, pur tra gli ineluttabili alti e bassi legati all'anagrafe, ancora per due o tre anni. Non credo assolutamente al fatto che uno come lui, bravo tecnicamente e intelligente sul piano tattico, possa giocare solo nel 4-4-2 di Novellino. Tuttavia, rivendico con forza, per le dinamiche che fanno una squadra e una società, una grande squadra e una grande società, la totale libertà di Mazzarri di compiere le sue scelte in assoluta autonomia e libertà. Ovviamente, con le responsabilità che ne derivano. A inizio stagione si diceva che Mazzarri fosse entrato nell'ambiente sampdoriano quasi con timidezza. E ora che dimostra di sapere e di poter prendere in mano la situazione, come impone il suo ruolo, lo critichiamo? Da parte mia, no. E credo che se la società si trovasse di fronte all'odioso dilemma se scegliere il tecnico o il giocatore, debba sposare completamente la causa del primo.
Mi permetto, però, di rivolgere un modesto appello a Mazzarri. Considerare Volpi come tutti gli altri è ingeneroso: lui è l'uomo, prima ancora che il calciatore, che più di tutti ha segnato l'epoca della resurrezione blucerchiata, dalle soglie della serie C all'alta serie A. Lui è, o è stato, uno dei leader dello spogliatoio. È un giocatore che, in cinque anni, avrà preso tre o quattro insufficienze in pagella. È, in una parola semplice ma significativa, il capitano. Basterebbe questo a giustificare, nei suoi confronti quantomeno una maggiore sensibilità e attenzione. A meno che, lo ripeto, Mazzarri non lo abbia colto con le mani nella marmellata a remare contro il suo progetto.
Chiudo con un ricordo personale. Anni fa vissi, da cronista, la furibonda settimana in cui Roberto Mancini voleva andare a tutti i costi all'Inter, sfruttando la promessa fattagli anni prima da Paolo Mantovani: «Se e quando lo desidererai, potrai lasciare la Sampdoria a parametro zero».
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