Lui gioca d’azzardo, la Chiesa annulla le nozze

Il racconto di lei: «All’inizio non mi sono accorta di niente. Poi ho scoperto i debiti»

Andrea Tornielli

da Milano

Anche dopo molti anni di matrimonio, se il marito prima delle nozze aveva nascosto alla moglie di essere un giocatore d’azzardo, l’unione può essere dichiarata nulla dalla Chiesa e la legge italiana può riconoscere la decisione. È quanto emerge da una sentenza promulgata del Tribunale ecclesiastico lombardo, confermata in seconda istanza dal Tribunale ecclesiastico di Genova e approdata ieri alla Corte d'Appello di Milano per il riconoscimento civile.
La storia è simile a quella di tante famiglie italiane che conoscono la difficoltà di avere uno dei loro congiunti morbosamente attaccato al gioco d’azzardo. I due coniugi, oggi entrambi sulla quarantina, si erano sposati nel 1990. Tre anni dopo era nato un figlio. Per undici anni, fino al 2001, la coppia non aveva manifestato all’esterno particolari problemi né i parenti si erano accorti di nulla. In realtà la donna, che ha dichiarato di aver taciuto per pudore, ha scoperto ben presto che il suo compagno era ossessionato dal gioco. «Prima di sposarmi - si legge nella testimonianza della donna citata nella sentenza - io non ebbi mai alcun sentore del fatto che il mio fidanzato si comportasse irregolarmente... Né ci fu nulla che mi dicesse qualcosa, neppure a livello di semplice allusione». Solo due anni dopo le nozze, quando è già incinta del figlio, la donna scopre che all’origine dei problemi economici della coppia c’era il fatto «che mio marito aveva dei debiti ingenti da coprire, in conseguenza dei quali aveva continuamente bisogno di denaro. Anche prima c’erano stati degli episodi, ma non li sapevo interpretare. Così, finalmente, mi sono decisa ad andare a parlare con i miei suoceri, quando ho scoperto che mio marito aveva omesso di pagare l’assicurazione dell’auto. Da lì venne fuori tutta la storia, perché mi dissero che già da molto tempo erano costretti a coprire vari debiti del figlio».
La moglie scopre le sue carte e chiede conto al marito di questa situazione: lui dice che si tratta di un vecchio debito, contratto prima del matrimonio, che lo ha portato tra le braccia degli usurai. In realtà l’uomo, che pure per un certo periodo dopo il matrimonio aveva tentato di smettere di giocare, è ricaduto nel vizio di puntare sulle corse dei cavalli. Chiede prestiti che non restituisce, sottrae i soldi persino dal salvadanaio del figlio, cerca in tutti in modi di procurarsi il denaro per soddisfare la sua passione per l’azzardo, appena può si precipita all’ippodromo di San Siro o nelle sale da gioco dove si scommette sulle corse di cavalli. «Prima delle nozze non le avevo mai detto nulla, perché mi rendevo conto che il gioco d’azzardo non è un’attività socialmente apprezzata e avevo la consapevolezza che lei avrebbe avuto parecchio da ridire. Ciò che per me contava nel gioco era l’adrenalina che sentivo in corpo, la sfida al destino e a me stesso». La situazione esplode all’inizio del 2001. I due si separano e lei inizia la pratica per l’annullamento presso il Tribunale ecclesiastico. Questi i motivi addotti dalla donna: un «grave difetto di discrezione di giudizio e l’incapacità di assumere gli obblighi essenziali del matrimonio da parte dell’uomo», un «dolo ordito» nei confronti della moglie. I giudici ecclesiastici hanno riconosciuto soltanto questa seconda motivazione, introdotta nell’ordinamento con il codice di diritto canonico del 1983. Il marito non è stato dunque ritenuto «incapace» di assolvere ai suoi obblighi a causa di un vizio patologico, ma ha comunque ingannato la futura moglie tacendole questa sua sfrenata passione prima del matrimonio.
La sentenza milanese, confermata dai giudici ecclesiastici di Genova, è diventata definitiva e non c’è stata la necessità di ricorrere alla Rota Romana, che funziona da «Corte di Cassazione» in questi casi.

Com’è noto la Chiesa non «annulla» un matrimonio (che se c’è ed è valido non può essere annullato da nessuno), bensì lo dichiara nullo all’origine, cioè riconosce che non c’è mai stato, in questo caso a motivo di un vizio presente nel momento in cui veniva celebrato. Ieri la sentenza è stata depositata dall'avvocato Giovanna Comolli alla Corte d’Appello che ora riconoscerà il valore anche civile della decisione ecclesiastica.

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