da Roma
È lui? Non è lui? Forse per il grande pubblico questo non sarà proprio un dubbio amletico. Ma certo per fan, nostalgici e neo-ammiratori di Rino Gaetano (numerosi, si dice, anche fra i giovani che lo stanno riscoprendo) la questione resta centrale. «Quello non è mio fratello - sentenzia la sorella del cantautore, Anna -. Non assomiglia in nulla a com'era lui veramente». «Ma quello è come l'abbiamo visto noi - ribatte il regista Marco Turco -. Di Rino ognuno aveva un'idea diversa. E noi abbiamo raccontato la nostra».
Insomma: attorno a Rino Gaetano. Ma il cielo è sempre più blu - miniserie in onda domenica e lunedì su Raiuno - la querelle è più aperta che mai. Già all'anteprima della scorsa estate, al Festival della Fiction di Roma, Anna Gaetano aveva bocciato l'immagine da artista maledetto accreditata dal film: «In questa fiction non riconosco Rino. Lui non era un ubriacone, né uno spendaccione; non ha mai posseduto una villa con piscina, né ha mai avuto contrasti con nostro padre». La presenza della signora ieri in viale Mazzini, alla conferenza stampa Rai, faceva supporre che nel frattempo avesse cambiato idea. Neanche a parlarne. «Confermo tutto, parola per parola - ha ribadito, davanti al regista Turco, all'interprete Claudio Santamaria e al direttore di Raifiction Saccà, tutti esterrefatti -. Non posso rimangiarmi nulla. Anche se qualcuno preferirebbe che tacessi». E stavolta non sono stati tanto i dettagli, più o meno inventati o esasperati, ad urtarla; quanto il poco conto che s'è fatto della sua testimonianza. «Mi avevano interpellato, pensavo avrebbero utilizzato le cose che avevo raccontato loro. Ho vissuto con mio fratello 31anni. Lo conoscevo come nessun altro. Ma sicuramente il loro Rino non è quello che ho conosciuto io». «Oltre alla signora Gaetano abbiamo intervistato altri parenti, e amici, e colleghi del cantante - replica Turco - E ciascuno di loro ce l'ha descritto in modo diverso. Così quella della fiction è l'immagine che ce ne siamo fatta noi». «E poi è risaputo: nell'arte rimanere fedeli all'originale vuol dire tradirlo - chiosa Saccà -. E la nostra fiction dà la sostanza vera di Rino Gaetano. Il suo essere poeta controcorrente e uomo solo».
Il più acceso sostenitore della verità poetica di Rino Gaetano è il suo entusiasta interprete: Claudio Santamaria. «Da anni sognavo d'interpretare la vita di un cantante. Quando Turco mi propose questa fiction saltai sulla sedia: considero Rino Gaetano un mito; uno che, se fosse nato in America, oggi sarebbe un'icona del rock. Però ero perplesso: sapevo di non assomigliargli fisicamente». «Io non voglio un suo sosia - ha replicato il regista - Quel che conta è la tua natura di uomo del sud; il tuo sguardo da artista folle». «Allora mi sono messo a dieta, ho letto tutte le biografie e visionato tutti i filmati del cantante, ho imparato da solo a casa, riprendendomi con la videocamera, il suo modo di muoversi e gesticolare». E ha imparato le sue canzoni; che nella miniserie sono tutte (tranne quella dei titoli di testa) interpretate da lui, con aderenza effettivamente notevole. «Il canto era l'unica cosa in cui mi sentivo sicuro. E oggi tutti mi dicono: canti bene quasi quanto lui». «Così Santamaria è riuscito a incarnare alla perfezione l'idea di un artista solitario e tormentato, di un cane in chiesa, come si dice, portato a irridere il potere con un innato senso del grottesco e del paradosso. Fino a diventare - conclude Saccà - una vera metafora di quegli anni. I creativi ma terribili anni 70». E che tipo di accoglienza potrà avere una fiction che, per soggetto e interpreti (accanto a Santamaria anche Laura Chiatti e Kasja Smutniak) sembra rivolgersi a un pubblico più giovane di quello tradizionalmente maturo di Raiuno? «Per i temi che tratta, come il conflitto generazionale e la descrizione degli anni 70, questa fiction ha una destinazione molto larga - ribatte Saccà -.
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