Non si può certo dire che il decennale della morte di Bettino Craxi sia passato sotto silenzio. Non si può, però, nemmeno affermare che i dieci anni trascorsi abbiano decantato le passioni che accompagnarono la stagione di Tangentopoli e che procurarono la sua caduta politica. Vale per il leader socialista il motto sconsolato del «passato che non passa». È diminuita lintensità dello scontro, non la sua natura e irriducibilità, tutta centrata sullultima fase della sua carriera politica. Ridotto allosso, il dilemma oggi proposto è lo stesso che lo accompagnò ad Hammamet e che non doveva lasciarlo fino alla sua scomparsa: Craxi era da considerarsi latitante o esule?
Sotto lincalzare della rabbia popolare scatenata dalla «questione morale» il leader socialista finì per divenire la vittima sacrificale della «caccia ai partiti», sprofondati in quegli anni al loro minimo nella considerazione collettiva degli italiani. Da allora la sentenza di condanna comminatagli per il reato di «finanziamento illecito ai partiti» è stata proposta dai suoi detrattori come il compimento e la summa della sua carriera politica: vera e propria pietra tombale che dovrebbe seppellire lintera sua opera di leader e di statista.
Quel che gli era stato fatto valere in vita doveva valergli, insomma, anche in morte. Il «paradigma del giustizialismo» impostosi nella vita politica del paese sullonda di Tangentopoli è stato trasposto nella memoria del nostro passato nazionale, recente e - per molti - anche più lontano. Di questa architettura interpretativa la più illustre vittima della Rivoluzione italiana degli anni Novanta era - e resta - il pilastro portante irrinunciabile. Il giustizialismo si è avvalorato, infatti, come la carta vincente di unopposizione che nella sua storia aveva perso sempre la sfida a divenire forza di governo. Al contempo, sullonda dellinsperato successo conseguito, esso ha acquisito la forza per affermarsi anche come la nuova identità dellopposizione: unidentità sostituiva di quella persa per strada, falsificata comè stata dalla storia. Non si spiegherebbero altrimenti la fortuna politica di una forza politica come lIdv e il carisma acquisito dallex magistrato di Mani pulite: luna e laltro talmente pronunciati da assegnare al giustizialismo una posizione egemonica nei confronti dellintera area di sinistra, segnatamente di quella estrema, ossia di quella più ancorata ad unidentità antagonista forte, capace di alimentare nuovamente una proposta di alternativa netta al «sistema di potere» dominante.
Non si spiegherebbe altrimenti nemmeno limbarazzo tuttora accusato nellaffrontare la questione Craxi dalla sinistra - chiamiamola - «a vocazione governativa»: di quella, cioè, che avverte linconciliabilità irriducibile tra giustizialismo e vocazione maggioritaria. La contraddizione politica si è riflessa in contraddizione memoriale. La sanzione giudiziaria, grazie alla quale essa ha liquidato Craxi e con lui il rivale Partito socialista, si conferma per essa irrinunciabile come passaggio decisivo che ha decretato la sua definitiva vittoria nel duello allultimo sangue combattutosi lungo tutto un ventennio nel campo della sinistra. Insieme, nel momento in cui ha deciso di abbracciare la causa del riformismo alla ricerca di una legittimazione quale forza di governo, non può esimersi dal raccordare la nuova identità con una memoria coerente e, quindi, dal confrontarsi anche con lautonomismo socialista di Craxi che del riformismo è stato parte integrante nonché l'ultimo capitolo della sua storia. Il suo attuale rifugio nellimpossibile conciliazione di una Identità Riformista protestata con una Memoria Antisocialista congelata è indifendibile alla distanza perché finirebbe per inficiare la sua stessa credibilità politica e per tenerla sotto scacco da parte del giustizialismo.
Lattualità di Craxi è perciò destinata a durare. In termini polemici fino a quando il giustizialismo conserverà una posizione dominante nel campo della sinistra.
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