Lui scherzava sempre gli altri facevano sul serio

«Avrei fatto meglio a stare zitto» disse quando per il suo errore gli cadde il mondo addosso. Poi, dopo aver definitivamente girato le spalle alla patria, aggiunse amareggiato: «Sono stato un asino e ne pago il fio».
Era sempre stato un tipo con la testa per aria. Perduto in un suo mondo antico e scanzonato, era incapace di accorgersi della brutalità della sua epoca. Così, quando nel 1939 i nazi-comunisti aggredirono la Polonia appiccando il più devastante incendio di tutti i tempi, il Nostro continuò imperterrito la sua vita. Da anni, aveva l’abitudine di trascorrere le ferie nel sud della Francia, a Le Touquet. Scoppiata la guerra, anziché fare fagotto rimase beatamente nella sua residenza estiva.
L’anno dopo, i tedeschi che avevano occupato la Francia lo arrestarono durante una retata. Trascorse alcuni mesi in un campo di concentramento in Belgio, poi fu spedito in un lager della Slesia polacca con altri prigionieri alleati. Essendo, con i suoi sessanta, anni tra i più anziani, si sentì in dovere di tenere su il morale degli internati. Fece ciò che aveva sempre fatto e che lo aveva reso mondialmente famoso: inventare storie sorridenti, organizzare sketch comici, rasserenare gli animi. La cosa gli riuscì benissimo e alle autorità tedesche venne l’idea di sfruttare la sua verve ai propri fini.
Il Nostro fu dovutamente corteggiato, trasferito a Berlino e sistemato in un lussuoso albergo. Il ministero degli Esteri nazista che lo aveva preso in consegna gli lasciò assaporare per qualche tempo la semi-libertà per guadagnarne la fiducia. Poi gli fece la proposta: affidargli una trasmissione radiofonica in lingua inglese destinata ai prigionieri americani in cui avrebbe raccontato le stesse storielle con cui li aveva divertiti nel lager della Slesia. Il Nostro non intuì l’impiccio in cui si cacciava e accettò. In tre puntate prese per i fondelli l’universo mondo, a cominciare da se stesso e senza risparmiare i nazisti. Parlando della sua avventura personale disse: «Come si diventa un internato? Be’, ci sono diversi metodi. Il mio in particolare è stato quello di comprare una villa a Le Touquet sulla costa francese e stare là finché non sono arrivati i tedeschi. Questo è probabilmente il migliore e più semplice dei sistemi. Tu compri la villa e la Germania fa il resto».
I prigionieri quasi certamente risero. Ma i concittadini inglesi del Nostro - che subivano da mesi i bombardamenti nazisti - non erano nelle migliori condizioni per fare altrettanto. Fu così che in Inghilterra crebbe verso l’incosciente compatriota un odio sordo che si manifestò pienamente nel dopoguerra. Lui, che pure aveva allietato generazioni di lettori, nel ’46 fu accusato di collaborazionismo. Molti, nel ’46, anche tra gli scrittori, avrebbero voluto processarlo e condannarlo alla pena capitale. Un’anglicana severità accentuata forse dal fatto che il reprobo era cattolico. Soltanto due voci si alzarono in sua difesa, quelle di George Orwell e di Evelyn Waugh, cattolico pure lui.
Il Nostro spiegò in ogni sede e in tutte le salse che mai e poi mai si era sognato di essere un collaborazionista del nazismo. Ma, visto che non faceva breccia e pur pentito del proprio errore, si disgustò per l’accanimento. Così chiuse definitivamente con l’Inghilterra, rifiutando per sempre di tornarvi. Si trasferì negli Usa e nel ’55 divenne cittadino americano.
L’America d’altronde era da decenni la sua seconda patria. Vi era approdato a 28 anni, trovando moglie e successo. Fu lui a trasformare l’operetta viennese nel sofisticato musical americano reso poi famoso da George Gershwin e Fred Astaire. Anche la quasi totalità dei suoi novanta romanzi vide la luce negli Usa, nonostante la loro ispirazione prettamente inglese. Racconti disseminati di personaggi bizzarri o animali umanizzati come la «scrofa da competizione» detta l’Imperatrice di Blandings. Storie di castelli, di svagati gentiluomini edoardiani e servitori impeccabili del tutto estranei ai tempi in cui il Nostro scriveva. «Sono stato lo storico di un’epoca in cui esistevano i maggiordomi», disse egli stesso riassumendo la propria opera.
Una vera riconciliazione con l’Inghilterra non avvenne mai. A tenere il broncio fu soprattutto il Nostro.

Gli inglesi cominciarono invece a rivedere le loro posizioni negli anni Sessanta. Fu la regina a rompere gli indugi e a proclamarlo baronetto nel ’75. Il Nostro ebbe due settimane per fregiarsi del titolo prima di morire novantaquattrenne.
Chi era?

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