«Lui super partes? In certe situazioni è andato oltre...»

RomaAntonio Leone, vice presidente della Camera ed esponente del Pdl, è possibile conciliare il ruolo di presidente della Camera con quello di leader politico?
«Tutti i presidenti della Camera sono stati leader di partito e, una volta assunto il ruolo, sono rimasti sopra le parti, ha preso piede la politica nel senso più alto. È chiaro che la terza carica dello Stato non può avere parte in causa in modo forte e penetrante nella politica di tutti i giorni, ma non gli si può nemmeno chiedere di abdicare dalla politica».
E con Fini è successo?
«Con molta franchezza ci sono state alcune situazioni che hanno travalicato un po’, però, nel complesso, in buona parte delle scelte che ha fatto fino ad ora, si è mantenuto equidistante».
Possibile che adesso la sua situazione politica e personale sia talmente ingarbugliata da rendere auspicabili le dimissioni?
«Con il suo video ha ammesso una serie di leggerezze e ingenuità, e i dubbi non sono stati superati. Siamo in una situazione paradossale, stiamo tenendo il Paese e le istituzioni bloccate e con il fiato sospeso. Sarebbe bastato invitare Giancarlo Tulliani a mostrare il contratto di affitto e avremmo potuto continuare a fare politica».
Tra i suoi colleghi parlamentari i dubbi sulla permanenza di Fini sono legati al fatto che oggi il presidente della Camera ha ampi poteri discrezionali e può condizionare il corso della politica. È vero?
«Sì, il regolamento così come è fatto dà un potere amplissimo per quanto riguarda l’ordine del giorno e il calendario. Non può decidere l’esito, ma dare una spinta al voto su alcuni provvedimenti, sì. Basti pensare che alle conferenze dei capigruppo non si vota mai, le decisioni vengono prese ponderando il peso dei partiti, ma l’ultima parola spetta, di fatto, al presidente».
Lei si ricorda momenti di attrito tra Fini e il governo?
«Qualche segnale c’è stato e non da adesso, per lo più legato all’importanza che Fini dà al non sembrare appiattito sulla maggioranza. Idea giustissima. Il problema è semmai quando per non sembrare filogovernativi si eccede in senso opposto».
Se lei fosse stato al suo posto, si sarebbe dimesso?
«Non posso dirlo io. Ma lui stesso ha detto che il suo non dimettersi è una conseguenza del fatto che si ritiene completamente estraneo. Se fosse stato altrimenti, la soluzione delle dimissioni sarebbe stata la migliore. Questa vicenda ha messo in luce un problema che ci portiamo dietro già da un po’ di tempo».
Quale?
«Le ultime sono state tutte presidenze difficili e tormentate. Io credo si debba fare in modo che, chi arriva a ricoprire quel ruolo, debba avere in testa solo il funzionamento della Camera e non il suo futuro politico una volta uscito. Il Parlamento non può essere il veicolo di ulteriori successi politici. Serve una vera riforma dei regolamenti che distingua in modo netto il ruolo del Parlamento da quello del governo. E una riforma, che garantisca velocità alle leggi ordinarie, in modo che i decreti non siano l’unico modo per legiferare in modo efficace».
Il premier Silvio Berlusconi sta per parlare ai parlamentari e sarà uno snodo importante per questo governo. Pensa ci saranno sorprese per la maggioranza e per l’esecutivo?
«Il passaggio vero non sarà quello del 29. I voti a favore di Berlusconi ci sono già, ma tutto dipende da come procederanno nei prossimi mesi i provvedimenti legati al programma della maggioranza. E non parlo solo della giustizia».
Cosa pensa dell’accusa al governo di fare compravendita di parlamentari?
«Non condivido la polemica sulla compravendita dei parlamentari. Forse il Pd dimentica che il governo D’Alema nacque per il sostegno di Mastella e Cossiga con l'acquisto di una trentina di parlamentari del centrodestra.

E Casini dimentica i tanti ex Pd che sono passati da poco con il suo partito».
Se non ci dovesse essere un sostegno chiaro al governo lei auspica elezioni?
«Ritengo di sì. Il popolo ha votato questa maggioranza, questo governo e un programma. Basta fare due più due».

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