Stile

Luis, professione creator che rifà il look alle aziende

Sal, 21 anni, guida campagne online di brand come Nike e Netflix: «Influencer? In realtà racconto storie»

Marco Lombardo

«Ciao, mi chiamo Luis». Se lo vedete su YouTube presentarsi con il suo caratteristico saluto lo riconoscete di sicuro. Se lo incontrate invece su Instagram, sappiate che potrebbe cambiare la vita del vostro brand. Perché è questo che fa di lavoro Luis Sal, 21 anni, bolognese di padre argentino, artista nell'anima fin da piccolo ed oggi creator: «In realtà potrei dirmi comunicatore. Alla fine insomma racconto storie». In maniera originale e divertente, il che lo ha portato a cavallo del milione di followers alla guida di campagne di aziende come Nike, Netflix, Vice e perfino del Comune di Bologna. Per questo sarà lunedì uno degli speaker dello «StartupItalia! Open Summit 2018», per raccontare come cambia il mondo e lo stile di raccontare il business. Perché il suo mondo è già cambiato.

Vero, Luis?

«È il potere di internet che ha reso tutto meritocratico. Non bisogna essere figli di qualcuno o laureati in chissà che cosa per farcela».

Il mondo perfetto.

«Quasi. Io sono ottimista: vedo un futuro luminoso nei prossimi anni, grandi opportunità. Ma attenzione, perché la realtà può anche essere deludente».

In che senso?

«Una volta tutti volevano fare i Dj, oggi tutti vogliono fare gli influencer. Ecco: questa cosa sta sfuggendo di mano e le aziende devono capire che non è la quantità che fa la qualità, che non basta avere milioni di seguaci on line per essere autorevole automaticamente. C'è gente che nonostante i numeri sparisce nel giro di 6 mesi».

Tu come ci sei riuscito?

«Mettendomi alla prova. Mi sono esposto, e il mio consiglio è quello di provarci se si ha un'idea che si ritiene valida. Io non trovavo niente di interessante sulla rete ed ho deciso di crearmelo: ma ci vuole impegno. Lavoro duro».

Hai trovato un mestiere.

«In realtà era quello che sognavo di fare. Oddio, da piccolo in realtà speravo di diventare Spiderman, e poi più avanti un agente segreto, tipo 007. Diciamo che ho riassunto tutto in quello che faccio adesso».

Come scegli le aziende con cui lavorare? Hai mai rifiutato un progetto?

«Come no: la maggior parte... Spiego: non potrei mai impegnarmi in prima persona per un brand non in linea con quello che penso. E che non mi lasciasse carta bianca. Per fortuna mia le grandi compagnie che mi hanno cercato, me l'hanno sempre concessa».

Altri paletti?

«Il lavoro va su Instagram, il divertimento su YouTube. E poi il fatto che valga sacrificare spazio e tempo per qualcosa che cementi la fiducia con chi mi segue. La fiducia è la cosa più importante».

Le aziende lo capiscono?

«Non tutte. Non è decisivo avere un influencer per far crescere gli affari, ma capire chi è influente e chi no. Come si fa? Se uno pensa prima a valorizzare l'idea e poi a conseguire il guadagno, allora è l'uomo giusto».

Insomma: internet ormai è il nuovo mondo.

«Lo è, ma a volte ci fa credere di essere onniscenti. Speriamo che questo non ci renda stupidi».

E la tv e i giornali?

«Secondo me devono solo cambiare obbiettivo e pensare di essere meno ingessati, come lo sono in Italia. Bisogna prendersi un po' meno sul serio, com'è capitato negli Usa e con successo. Per esempio: è difficile fare gossip vecchia maniera quando su instagram i personaggi sono diventati editori di loro stessi...».

Ultima domanda: un consiglio ai politici?

«Ricordarsi che non sono più al centro del mondo e che la sincerità paga sempre.

Anche se io non ho ancora capito se credono di essere sinceri o sono solo dei bravi attori».

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